Renato Schifani, neo presidente della Regione Sicilia
6 minuti per la letturaLA ROBUSTA dote finanziaria da spendere, le infrastrutture, con in testa il progetto del Ponte sullo Stretto, la questione dei rifiuti, la burocrazia asfissiante, la lotta ai tentativi della criminalità organizzata di infiltrarsi nella gestione del potere. È un’agenda da far tremare i polsi quella sul tavolo di Renato Schifani, neo Presidente della Regione Siciliana, esponente autorevole del Centrodestra che lo ha catapultato a Palazzo d’Orléans, la sontuosa dimora di proprietà di Luigi Filippo d’Orléans, re dei francesi con il nome di Luigi Filippo I dal 1830 al 1848. Adesso è alle prese con i maggiorenti dei partiti e dei gruppi parlamentari della “sua” maggioranza nella fase della formazione della giunta regionale, passaggio fondamentale per cominciare con il piede giusto la legislatura e affrontare, per l’appunto, i dossier più caldi che lo attendono al varco e alla cui soluzione è appeso il giudizio dei siciliani.
Ma Schifani non sembra preoccupato di ciò che l’aspetta. Del resto e un uomo politico navigato: ne ha viste tante. E, per avere accettato la candidatura, deve avere avuto garanzie che potrà operare al meglio. Nato a Palermo l’11 maggio 1950, cresciuto in una famiglia originaria di Chiusa Sclafani e con la laurea in Giurisprudenza ottenendo il massimo dei voti, Schifani nel 1975 ha sposato la moglie Franca, con la quale ha avuto due figli: Roberto, avvocato, e Andrea, studente universitario. In origine iscritto al partito della Democrazia Cristiana, confluisce nella neonata Forza Italia di Silvio Berlusconi nel 1995 e diventa responsabile regionale dei dipendenti di partito. In occasione delle elezioni Politiche del 1996, Schifani è eletto al Senato della Repubblica nel collegio uninominale di Altofonte-Corleone (Palermo). Trent’anni di politica ai più alti livelli, una solida maggioranza politica, e la sintonia con il futuro Governo centrale di Centrodestra, devono avergli dato la consapevolezza di poter affrontare le questioni centrali per il futuro sviluppo socio-economico della Sicilia.
Priorità verrà data presumibilmente alla fase di liquidazione e certificazione che costituisce il target della spesa dei fondi della programmazione europea 2015-2022, oltre a quelli del Piano nazionale di ripresa e resilienza: parliamo di qualcosa come 50 miliardi di euro. Il nuovo Governo sarà inoltre atteso a stabilire quanto tempo ci vorrà ancora per la definizione dei pagamenti a imprese e fornitori, bloccati dallo stallo causato dal riaccertamento dei residui attivi, alcuni dei quali bloccano anche l’utilizzo dei residui passivi, fondi già impegnati ma non ancora spesi. Nella scorsa primavera inoltre è stato approvato il Piano di sviluppo e coesione 2014-20 con il recupero delle economie delle risorse nazionali. Gli uffici della Regione dovranno rispettare la scadenza del prossimo dicembre, anche questa volta per impegnare le risorse disponibili da spendere più avanti. La Sicilia sarà chiamata a fornire una risposta alle imprese sempre più schiacciate dai rincari dell’energia elettrica, che sta portando alcuni comparti al collasso, come quello agro-alimentare, della manifattura e della grande distribuzione organizzata. Dalle piccole e medie imprese e dall’artigianato si leva infatti un grido di allarme: senza aiuti dello Stato e della Regione, rischiano di finire fuori mercato, lasciandosi una scia amara di licenziamenti e di casse integrazioni. Alle prossime sedute dalla nuova giunta comparirà il convitato di pietra della burocrazia. Il mal sottile della burocrazia è molto più pervasivo e subdolo della pandemia, e più insidioso e costoso di una crisi economica: le associazioni di categoria di tutti i comparti produttivi chiedono semplificazioni al legislatore regionale e l’introduzione di facilitazioni, come ad esempio il silenzio-assenso.
Ma c’è un tema che angustia e angoscia ad un tempo: è quello dei rifiuti. L’Europa ha dettato un obiettivo: entro il 2035 potrà andare in discarica al massimo il 10% dei rifiuti. Attualmente, in Sicilia ci va a finire il 50%. L’obiettivo è lontano. La Sicilia sta cercando di aumentare la raccolta differenziata, che dal 18% del 2017 è passata al 48% del 2022. Ma è dura. Le discariche sono ultra-piene, portare l’organico in discarica costa sempre di più ai Comuni, che scaricano i maggiori costi nelle tariffe degli utenti. Il vecchio Governo regionale ha proposto la realizzazione di due termovalorizzatori: uno nella Sicilia orientale e l’altro in quella occidentale. Ma l’argomento è divisivo ed è stato accantonato. Spetterà dunque alla giunta post-Musumeci riprendere in mano lo scottante dossier e decidere il da farsi. Intanto, nei giorni scorsi, Antonio Martini, ex dirigente del ministero dello Sviluppo economico, e capo del Dipartimento regionale dell’Energia, è stato nominato “ad interim” dirigente generale dei rifiuti.
Un altro tema caldissimo in Sicilia è quello di contrastare l’azione della mafia. Non più quella tracotante e impunita che sfidava, con certe complicità insospettabili e trame non ancora svelate, lo Stato compiendo stragi e attentati che insanguinarono la Sicilia e l’Italia negli anni Novanta, ma non meno pericolosa e subdola. Essendo capace di infiltrarsi nella gestione della cosa pubblica.
“La mafia si inserisce nel potere” disse nel suo primo discorso da presidente Renato Schifani che annunciò anche “un’idea: l’istituzione di un comitato ristrettissimo composto da ex magistrati e personaggi delle forze dell’ordine che dia un’occhiata all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per dare una mano alla Sicilia”. Per l’ex presidente del Senato a tutelare che i fondi siano spesi bene e che non ci sia nessuna infiltrazione da parte della criminalità organizzata dovrebbero essere “uomini di Stato possibilmente che non siano della Sicilia”. Bisogna riconoscere che fa un certo effetto questa dichiarazione tenuto conto che Schifani è accusato di rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento in uno dei processi scaturiti dall’inchiesta sul cosiddetto sistema Montante che prende il nome dall’ex paladino dell’antimafia, Antonello Montante, ex presidente di Confindustria Sicilia, già condannato a otto anni di reclusione in primo grado. Per i magistrati della Procura di Caltanissetta, il neopresidente della Regione Siciliana sarebbe stato un anello della catena che avrebbe permesso al colonnello della Dia e dei servizi segreti Giuseppe D’Agata – anche lui coinvolto nel processo in primo grado – di sapere di essere indagato. In passato Schifani è stato indagato per concorso esterno a Cosa nostra, per i rapporti avuti con diversi mafiosi, ma alla fine la sua posizione è stata archiviata. Proprio per questo nel corso della campagna elettorale, era stato il Movimento cinque stelle a ricordare che, con la sua candidatura in rappresentanza della coalizione del Centrodestra, la Sicilia avrebbe rischiato di avere un governatore imputato prima di insediarsi. Ma Schifani fa spallucce, non si guarda indietro e tira dritto. “Ho ben altro a cui pensare” dice.
“Il mio impegno e il mio desiderio – dice adesso da governatore dell’Isola – è vedere una Sicilia che si muova e che esca dall’immobilismo. Il sistema finora non ha formato la burocrazia ma occorre fare un salto avanti. Mi impegnerò a non lasciarmi travolgere dal quotidiano e cercherò di gerarchizzare i problemi per trovare soluzioni alle criticità”. Schifani si è rivolto a chi gli starà accanto alla guida della Regione e anche a tutti i siciliani. “La mia non è stata la vittoria di un singolo, ma di una coalizione che mi ha voluto. Confido sulla collaborazione degli assessori e dei partiti e con loro mi confronterò sulle strategie da assumere. Ma attenzione, io non voglio essere e non sarò il Presidente solo di coloro che hanno votato per me e i partiti del Centrodestra, ma di tutti i siciliani. Mi batterò per loro e con loro per portare avanti le soluzioni ai problemi assillanti che la Sicilia deve risolvere”.
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