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Cappello in testa … ne esistono migliaia di modelli quelli dei grandi sono nei libri di storia. Il più noto? La bustina fatta con i giornali

È il cappello più popolare, più semplice e forse per alcuni più amato, ma non si sa da chi è stato inventato. Un cappello che specialmente in quell’Italia uscita dal dopoguerra che aveva voglia di costruire e ricostruire, rappresentava il lavoro che fa sporcare le mani. Il sacrificio e il desiderio di riscatto. Mattone sopra mattone. Risparmio dopo risparmio. È il cappello da muratore: una bustina di carta fatta con i giornali letti il giorno prima.

Una sorta di barchetta sulla testa. Sotto, nascosto tra i mille pensieri su come sbarcare il lunario, il desiderio di un futuro migliore. Una bustina che odorava di carta stampata, sostituita a volte da un sacchetto messo al rovescio così simile all’umile copricapo militare indossato da Eduardo De Filippo in “Napoli milionaria”, quando il tranviere Gennaro Jovine torna dalla trincea della prima guerra mondiale. Indimenticabile, come la coppola e la mantellina di lana fatta ai ferri che sempre Eduardo indossa in “Natale in casa Cupiello”. Uno stratagemma di Lucariello per affrontare il freddo in casa al risveglio e il caffè venuto male.

CAPPELLO IN TESTA SIMBOLO DI OGNI SOCIETÀ

A volerne riprendere la storia, capelli di ogni guisa hanno accompagnato gli uomini lungo i secoli. La moda in testa scrive un capitolo a sé e come altri accessori, racconta più di quanto si creda a uno sguardo non distratto dalla leggerezza o meglio dalla frivolezza apparente dell’argomento. I cappelli hanno indicato le epoche ma anche le appartenenze di classe e di ruolo, le provenienze geografiche, i mutamenti di costume, persino il maschile e il femminile e oggi probabilmente aggiungeremmo anche il “no-gender” dell’umanità.

I cappelli hanno fatto da “elmo” protettivo nell’era primitiva. Hanno tenuto al riparo dal freddo o dal caldo. Sono stati (e sono) protagonisti sulle passerelle ma anche per strada, sui libri di Storia e sulle tele di grandi pittori. Ammirati sul Grande Schermo e sui palcoscenici dei teatri. Hanno fatto innamorare registi e scrittori, stilisti e modaioli impenitenti.

Del resto, un cappello fa la differenza anche nel gesto di indossarlo o meno: levarsi il cappello è sinonimo di cortesia. È un modo per salutare ma indica anche rispetto verso l’interlocutore che si ha davanti. Tenere il cappello in mano fa subito pensare a un senzatetto che chiede l’elemosina e altresì ad un atteggiamento accondiscendente. E se persino la leggendaria Coco Chanel può apparire anacronistica con quel suo consiglio che recita “l’educazione di una donna consiste in due lezioni: non lasciare mai la casa senza calze, non uscire mai senza cappello”, il copricapo a dispetto delle mode ha attraversato indenne i secoli diventando un accessorio irrinunciabile. Creato in mille e una foggia.

Tra aneddoti, curiosità, fatti e leggende l’alfabeto dei cappelli restituisce un grande affresco popolato da eroi, divinità, uomini di chiesa e di potere, militari sul campo di battaglia e divi del Cinema, ma soprattutto donne e uomini di ogni epoca e continente. Come dire: “a chi ha testa, non manca il cappello”, recita il proverbio.

LA PRIMA RAPPRESENTAZIONE DI UN CAPPELLO IN TESTA

La prima rappresentazione di un essere umano con la testa coperta risale alla bellezza di 15 mila anni fa come testimoniano i graffiti trovati in una grotta a Lussac-les-Chateaux, in Francia. Coprirsi la testa in modo rudimentale rispondeva a uno scopo ben preciso: difendersi da pericoli come la caduta di sassi. Col tempo i copricapo diventano un simbolo, il pileo ad esempio nell’antica Grecia indicava l’appartenenza alle classi più umili. In pelle o feltro, era usato da maestranze, marinai e pescatori per ripararsi dal sole cocente; ma anche Ulisse viene rappresentato col pileo in testa.

Nell’antica Roma, invece, il cappello in testa era simbolo di libertà conquistata: veniva dato allo schiavo divenuto libero. Il primo cappello con la falda di origine greche lo indossavano eroi come Teseo e Perseo e, con l’aggiunta di alette d’ordinanza, il messaggero celeste Ermes. Testimonial di preziosi copricapo furono i potentissimi faraoni egiziani. Loro indossavano il nemes. La maschera funeraria di Tutankhamon lo testimonia.

Di cappello in cappello ecco apparire sulla scena  il cappuccio medioevale o  l’hennin: un cono allungato con un velo che faceva somigliare le donne che lo indossavano a certe fate protagoniste di antiche fiabe celtiche.

E ancora, capelli come simboli riconoscibili immediatamente come la corona di penne di tacchino selvatico, falco, airone o aquila che fa pensare senza tentennamenti agli indiani d’America e ai loro capi tribù. Capelli entrati nella leggenda come il copricapo con un diamante da 35 carati dell’immancabile re Sole. D’altronde, Luigi XIV in quanto a sfarzo non ha rivali.

Cappelli che intercettano i mutamenti di regime così che il vento della rivolta soffia forte anche sulle teste e dal tricorno, durante la  Rivoluzione Francese i soldati passano al bicorno. Il più famoso? Quello di Napoleone Bonaparte. Neanche a dirlo, il generale e poi imperatore lo portava in maniera diversa da tutti gli altri: di traverso. Il “Petit chapeau” come veniva chiamato il bicorno di Bonaparte completava l’immagine di Napoleone. Il generale ne indossa uno magnifico anche quando valica il Gran San Bernardo e viene immortalato in groppa al suo cavallo bianco da Jacques-Louis David. I cappelli e il potere vanno a braccetto, evidentemente.

L’800 E IL CAPPELLO COME GIOCO DI SEDUZIONE

L’800 a parte le velette che ombreggiavano gli sguardi delle donne in un intrigante gioco di seduzione nella vecchia Europa fino alla Belle Epoque, è il secolo del cilindro maschile. A renderlo iconico ci pensò il presidente americano Abramo Lincoln. Un metro e 93 di altezza, Lincoln appariva ancora più alto grazie al suo amatissimo  top hat che utilizzava persino come contenitore per documenti importanti.

Non meno interessante è la storia dei copricapo militari. L’Italia per dire, vanta un copricapo piumato conosciuto almeno quanto la canzone che lo accompagna e che fa così: “sul cappello sul cappello che noi portiamo, c’è una lunga, c’è una lunga penna nera”… È il capello degli Alpini: tra i più famosi dell’esercito italiano e c’è chi ne ricorda l’origine calabrese. In fatto di celebrità, tra i capelli piumati non è da meno quello che è l’emblema per eccellenza del Corpo dei Bersaglieri, detto anche “moretto”.

Regole precise che indicano lo status di appartenenza valgono egualmente per i copricapo ecclesiastici. Sotto il campanile a ciascuno il suo cappello secondo le indicazioni dell’araldica ecclesiastica e della scala gerarchica: la tiara era ad uso esclusivo del pontefice; il galero, per vescovi e cardinali. La cosa, però, non inganni perché questo cappello a falda larga con due cordoni che scendono ai lati dello scudo e si aprono in una serie di nappe, è quello che in uno stemma fa la differenza. Colore e numero delle nappe indicano l’ordine gerarchico.

C’è poi un cappello speciale extraliturgico destinato ai pontefici il cui uso si è ridotto nel tempo. Si chiama camauro: in velluto rosso e bordato di pelliccia di ermellino per l’inverno, di raso rosso per l’estate. E se ai papi è riservato altresì lo zucchetto bianco, ai preti tocca il saturno o il tricorno nero , ai vescovi la mitra e lo zucchetto violaceo. Lasciati i capelli dei preti – a giocare col titolo del romanzo di Emilio De Marchi, pubblicato nel 1888, diventato anche uno sceneggiato televisivo a firma di Sandro Bolchi – si torna ai cappelli per così dire modaioli.

L’ITALIA PATRIA DEL LEGGENDARIO BORSALINO

È l’Italia il Paese in cui nasce nel 1857 il leggendario Borsalino in un’azienda d’eccellenza con sede ad Alessandria. Dici Borsalino e buona pace per Johnny Depp, riaffiorano le note di “Suonala ancora Sam” perché questo cappello entra nell’immaginario collettivo col modello Fedora  indossato da Humphrey Bogart in “Casablanca” (1942). E poi c’è la bombetta creata a Londra nel 1860 da Thomas William Bowler. Il piccolo copricapo bombato conquista René Magritte che lo immortala su tela ma anche  Sir Winston Churchill,  Charlie Chaplin o   Stan Laurel  e  Oliver Hardy.

Se si cambia continente il cappello si chiama Panama, prodotto principalmente nella  provincia di Manabí  in Ecuador. A legare indissolubilmente questo cappello al nome di Panama, un evento di cui fu protagonista l’allora presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt. Fu lui ad indossarlo durante l’inaugurazione del Canale di Panama, appunto. Di cappelli legati a personaggi storici se ne incontrano diversi. Basti pensare a Che Guevara, entrato nell’iconografia del Novecento insieme al suo basco nero con la stella.

QUEL CAPPELLO INTRISO DI STORIA CHE CINGE LA TESTA DEGLI “ISOLANI”

E poi ci sono cappelli che ti sembra di conoscere ma la cui storia è per certi versi una sorpresa. Un esempio? La coppola. Siciliana, sicilianissima la coppola è diffusa anche in Calabria, Campania  e Salento. Ma sicuri che sia proprio siciliana? C’è chi ricorda che in Italia la tradizione della coppola si attesta tra il tardo XIX secolo e la prima metà del XX secolo, quando, secondo alcune fonti, famiglie inglesi si stabilirono in Sicilia portando sull’isola i loro usi e costumi fra i quali il berretto piatto che, adottato dai siciliani divenne col tempo un vero e proprio simbolo della sicilianità.

A Saint Louis nei primi del Novecento i ragazzini che agli angoli delle strade vendevano i giornali erano muniti del classico  newsboy cap o “berretto da strillone”. A guardarlo è un parente molto vicino della coppola, mentre tra gli antenati ci finisce quella rossa con cui viene ritratto Masaniello a Napoli mentre incita alla rivolta.

ELISABETTA II, QUANDO IL CAPPELLO IN TESTA DIVENTA ICONA POP

E poi c’è lei, Elisabetta II. Si favoleggia ne abbia indossati oltre cinquemila. Dieci volte non di più, ciascun copricapo si è poggiato sulla aristocratica testa della regina che ha attraversato due secoli. Cappelli colorati e sempre abbinati agli abiti indossati. A pensarci bene quei cappelli regali erano la corona di stoffa che Sua Maestà sfoggiava più frequentemente. Un accessorio che la distingueva perfino in mezzo alla folla e ne tratteggiava la silhouette per certi versi pop, insieme all’iconica borsetta sempre dello stesso modello e l’immancabile rossetto che ripassava sulle labbra con incantevole disinvoltura, fosse pure durante cerimonie pubbliche. Sotto gli occhi del mondo sì, ma mai senza cappello.


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