Vincent van Gogh, “Sulla soglia dell'eternità” (1890)
3 minuti per la lettura“Purtroppo per me ora ogni luogo è sempre più lontano”. È il passo amaro di un messaggio mandatomi da un’anziana amica che avevo invitato ad un incontro alla Casa della Cultura per la conversazione intorno al mio pamphlet “Scritti contro la guerra”. Una persona che non vedo da qualche tempo per via dei suoi problemi di salute e che mi avrebbe fatto piacere incontrare.
Avessi avuto trent’anni probabilmente non avrei badato a sufficienza a queste parole. Ma alla mia età mi hanno fatto riflettere e molto, anche perché ho amici più grandi di me impossibilitati a muoversi, ad uscire di casa, a raggiungere luoghi della città che hanno subìto negli anni vistosi cambiamenti e che amerebbero vedere. Andare a far visita a qualcuno, partecipare ad un incontro o semplicemente scendere sulla via a prendere un gelato, sono diventate incombenze problematiche. Li immagino sepolti vivi, e tali sono divenuti ai miei occhi, e non ho potuto fare a meno di pensare a me stesso e a tanti della mia stessa età avviati verso questo inesorabile destino comune.
Mi sono anche ricordato che per anni Gaetano Afeltra si è recato tutte le domeniche in via Maria Teresa n. 11 a far visita e conversare con il suo amico critico letterario e senatore a vita Carlo Bo, fino alla morte di quest’ultimo. Una pratica encomiabile e di grande considerazione reciproca in una città come Milano dove il tempo sembra non bastare mai e si è travolti da mille quotidiane incombenze. Afeltra era campano, Bo ligure. Chissà perché io conservo l’illusione dopo tanto tempo, tanti lutti, tanti cambiamenti avvenuti anche lì, che nella mia terra d’origine una cosa del genere possa essere ancora possibile. In fondo l’illusione è ciò che fortemente si desidera, e la mia caparbia ostinazione a credervi, è la molla che mi spinge a desiderare di trovarmi in quel luogo. Una pulsione desiderante, per l’appunto, che cozza contro il più prosaico principio di realtà.
Tuttavia si tratta di un desiderio umano perché a chi si avvia verso un inevitabile declino, un volto amico e solidale, il privilegio di una conversazione piacevole e serena, diventano gli ingredienti di un balsamo corroborante. Che faremo quando anche noi saremo murati vivi in casa senza potere uscire per timore di incespicare, cadere, farsi male? Che faremo quando non ci sentiremo più sicuri? Quando come ha scritto nel suo messaggio la mia anziana amica ogni luogo è sempre più lontano da raggiungere, anche quello che dista solo pochi metri? Sono interrogativi legittimi e che ci riguarderanno tutti. Un amico che nella mia terra d’origine è rimasto a vivere e ad operare mi parla spesso di conoscenti che incontra per strada e con i quali conversa.
Di altri che si presentano spontaneamente a casa senza avvisare per portargli in dono frutta di stagione, verdura ed altri beni semplici ma graditi. Lo fanno per la stima che hanno conservato in lui; per il ricordo verso un docente di scuola che non hanno dimenticato fin da quando erano suoi allievi. E questo mi induce a credere che gli farebbero visita anche se non avesse più la possibilità di uscire sulla via per una passeggiata; se il corpo non gli permettesse di sentirsi sicuro fuori dalle sue quattro mura. E noi? Noi abitanti di metropoli potremmo contare su gesti come questi? Chiederselo vale già dubitare.
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