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I leader del centrodestra sul palco di Roma alla chiusura della campagna elettorale

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L’effetto panico generato dagli impossibili tagli fiscali della premier inglese della destra che gioca a fare la Thatcher e sta facendo saltare il suo Paese, oltre che i conti pubblici, porta gli investitori del mondo a vendere tutto ciò che è più rischioso e, purtroppo, i BTp italiani sono considerati tra i titoli rischiosi. Siamo a una sindrome Argentina per la Gran Bretagna della Brexit che può essere contagiosa, il famoso fuoco che brucia tutto. Lo spread italiano è salito del 10% in due giorni senza un caso Italia sui mercati grazie al realismo della Meloni, premier in pectore della nuova Destra, che non ha regalato parole in libertà alla speculazione e ha mostrato di non volere fare scostamenti di bilancio. Bisogna trovare 40 miliardi e ce ne sono 20 in meno di agibilità fiscale. Stiamo camminando sulle braci e per non scottarci gli alleati della Meloni abbiano il pudore di tacere dopo la fiction della campagna elettorale.

La scintilla può scoccare per motivi diversi, ma quando arriva il fuoco è certo che brucia tutto. Il caso più vistoso riguarda l’Inghilterra con un deprezzamento della moneta che fa paura. Siamo in presenza di un cambio selvaggio a causa di una misura di consolidamento fiscale molto aggressiva, fuori della realtà nel mondo di oggi, e una polemica senza precedenti che ne è scaturita tra la Banca d’Inghilterra e il governo guidato da Liz Truss. Da tutto ciò può emergere un’instabilità contagiosa di cui l’Italia pagherebbe uno dei prezzi più elevati tra i Paesi europei.

Siamo a fare i conti con uno scontro gigantesco ai massimi livelli istituzionali dell’Inghilterra della Brexit. Perché la prima ministra inglese conservatrice, Liz Truss, ha annunciato di porre in essere una manovra espansiva fiscale a debito gigantesca, la più grande degli ultimi cinquant’anni, tagliando le tasse ai ricchi nel momento in cui i tassi salgono alle stelle con l’inflazione al 9,9% che penalizza di più i poveri.

Questa manovra sta determinando una crisi di panico sui mercati perché la Gran Bretagna potrebbe avere un debito non più sostenibile e l’economia non avrà un’espansione. Perché la Bce alzerà ancora di più i tassi, ma nel frattempo la sterlina è crollata e il costo del debito inglese è alle stelle. Con questa manovra espansiva tutta in deficit che fabbrica debito la politica fiscale e la politica monetaria sono entrate in collisione e si costringerà la Banca d’Inghilterra a rialzare i tassi ancora di più di quello che si proponeva di fare con uno spread inglese di fatto a 220 sulla Germania, quota mai raggiunta, e un costo del debito aumentato di un punto percentuale in una settimana.

L’effetto panico generato dagli impossibili tagli fiscali della premier inglese della destra che gioca a fare la Thatcher e sta facendo saltare il suo Paese, oltre che i conti pubblici, porta gli investitori del mondo a vendere tutto ciò che è più rischioso e, purtroppo, i BTp italiani sono considerati tra i titoli più rischiosi. Siamo a una sindrome Argentina per la Gran Bretagna della Brexit che può essere contagiosa, il famoso fuoco che brucia tutto. Così come i giapponesi che sono intervenuti per controllare il cambio che si muove con troppa volatilità sono altre tensioni di carattere generale.

Tutte queste tensioni fanno parte del fuoco che può potenzialmente bruciare tutto. Per questo uno spread italiano sopra i 250 punti con un rendimento decennale ai massimi dal 2013 indica che ci sono ancora forti vendite sui bond dell’eurozona con i tassi che aggiornano i record dell’ultimo decennio, ma che i nostri titoli sono ancora più bersagliati degli altri, all’indomani dell’esito del voto.

Lo spread italiano è salito del 10% in due giorni senza un caso Italia sui mercati grazie alla prudenza e al realismo della Meloni, premier in pectore della nuova Destra, che non ha regalato parole in libertà alla speculazione e ha mostrato chiaramente di non volere fare scostamenti di bilancio.

Sarebbe bene, a questo punto, che, soprattutto il suo alleato leghista di governo uscisse in fretta dalla fiction della campagna elettorale. Perché nel mondo della realtà di oggi si deve preparare una legge di bilancio che trovi 40 miliardi per rinnovare gli aiuti su caro bolletta e caro benzina e per confermare il taglio del cuneo fiscale e la contingenza ai pensionati decisi dal governo Draghi e bisognerà fare fronte a un rallentamento della crescita che non è ancora recessione come altrove, proprio a causa del podio europeo conquistato nel primo semestre dell’anno dall’Italia, che significa altri 20 miliardi in meno di agibilità fiscale. Tutto questo va realizzato senza fare scostamento di bilancio perché i rischi a cui ci esporremmo sono analoghi, se non peggiori, di quelli inglesi. Ieri la Commissione europea ha dato il via libera alla seconda tranche da 21 miliardi complimentandosi con il governo Draghi perché i target sono stati tutti centrati. Così come va apprezzato lo sforzo compiuto dal governo uscente per consegnare a ottobre oltre il 60% degli obiettivi raggiunti per ottenere la terza rata di 19 miliardi legata al conseguimento degli obiettivi del secondo semestre.

Per tutte queste ragioni fin qui esposte fa benissimo la Meloni a non profferire parole pubbliche. A contenuti e squadra si lavora in silenzio. Fa bene Guido Crosetto a parlare di collaborazione istituzionale tra i due governi, uscente e entrante, per fare la legge di bilancio anche se è evidente che essendoci stato un voto (peraltro anticipato) è assolutamente obbligatorio che sia il nuovo governo politico a fare la manovra perché un lavoro a quattro mani apparirebbe incomprensibile.

Piuttosto il primo impegno del nuovo governo nel fare la finanziaria, a nostro avviso, deve essere quello di uscire da forme di ambiguità che accreditano discontinuità. Perché l’emergenza economica se ne sbatte alla grande di chi ha vinto le elezioni. L’emergenza è la stessa del sabato prima delle elezioni, non è cambiata di una virgola, anzi è solo peggiorata con lo spread salito del 10% in due giorni e un appuntamento venerdì con la pagella di Moody’s che è l’agenzia che ha ingiustamente classificato il Paese nella posizione più bassa e, cioè, l’ultimo scalino prima dei titoli junk e, cioè, quelli a livello spazzatura. Il tema è di assoluta delicatezza perché l’esperienza insegna che lo spread ci mette un po’ di settimane a bollire, ma poi quando si raggiunge il livello di guardia a impazzire ci mette un attimo. Se ti fai prendere la mano con le parole e, peggio ancora, con i fatti allora ti ritrovi a cercare dalla sera alla mattina decine e decine di miliardi che non hai come insegna proprio il caso della manovra della Truss che peraltro, a differenza dell’Italia, guida un Paese che ha la sua banca centrale nazionale.

È, insomma, obbligatorio uscire in toto dalla fiction elettorale proprio per la gravità dei problemi interni e esteri che si hanno davanti. Fuori dalla fiction ci sono 21 miliardi europei che arrivano grazie al lavoro del governo Draghi, altri cinque miliardi disponibili dagli extra gettiti da Iva e crescita per fronteggiare le esigenze del caro bolletta di fine anno, l’anticipo ulteriore da parte del governo Draghi degli obbiettivi del Pnrr da conseguire entro dicembre per incassare la terza rata di 19 miliardi senza i quali la quadratura dei conti è impossibile. Stiamo camminando sulle braci e per non scottarci gli alleati della Meloni rinuncino a qualsivoglia tentazione di fiction. Facciano esattamente come ha fatto lei anche perché questa linea è stata premiata dagli elettori mentre quella dei suoi alleati di governo è stata bocciata. La continuità in economia, soprattutto su riforme, appalti e priorità agli investimenti nel Sud in capitale umano e infrastrutture, non può essere messa in discussione. Sarebbe l’inizio della fine.


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Fabio Grandinetti

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