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I conti veri li farà Mattarella e li farà solo con i gruppi parlamentari e dobbiamo avere ancora qualche attimo di pazienza. La stabilità di governo è, però, di sicuro la prima delle esigenze ed è incompatibile con la sagra delle dichiarazioni in libertà prima e dopo la formazione del governo. Perché lo spread italiano è a 230 contro i 100 circa dei portoghesi e degli spagnoli? Perché siamo alla vigilia del crack o perché c’è mancanza di fiducia nel nostro Paese di crescere e di avere una classe dirigente politica capace di fare le scelte giuste? Secondo il governatore della banca d’Italia, Ignazio Visco, la situazione economica italiana è migliore di quella che appare, molto meglio aggiungiamo noi di quelle spagnola e portoghese, ma ciò che appare fa la realtà. Le parole valgono come oro o come pietre a seconda dell’uso che se ne fa. Chi ci governerà senza fiatare dovrà fare alzare il voto degli investitori sulla nostra politica rispondendo con i fatti e sentendosi parte integrante della guida della nuova Europa

Non c’è tempo per fare i giochini. Bisogna dare un governo nel pieno dei poteri all’Italia. Il mondo ci guarda per capire se siamo finiti in una palude o se abbiamo preso un’altra strada. Ancora meglio: se abbiamo preso sì un’altra strada – la sovranità politica è il cuore vitale delle grandi democrazie – ma che si muoverà ugualmente nel solco della ritrovata reputazione in politica estera e in economia dovuta all’operato del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi. Una ritrovata reputazione dell’Italia che rimuove i vincoli interni per la crescita e che è fondata su una chiarissima posizione geopolitica di alleanze internazionali, un processo riformatore compiuto bene avviato, e una leadership politica personale a livello globale dell’uomo che ha guidato il governo europeo della moneta salvando l’euro e che da premier italiano ha regalato al suo Paese tassi di crescita da miracolo economico riducendo diseguaglianze e debito come non accadeva da mezzo secolo.

Secondo i primi exit poll emerge un evidente successo dei Fratelli d’Italia della Meloni e un risultato superiore alle aspettative dei Cinque stelle di Conte rispetto a quanto veniva accreditato all’inizio della campagna elettorale. Ai quali fa da pendant la persistente debolezza del Pd di Letta e le evidenti, forti debolezze della Lega di Salvini e di Forza Italia di Berlusconi. Per il terzo polo di Azione-Italia Viva si profila un buon risultato che riflette la partenza da zero, ma è evidente che attende di essere consolidato negli anni radicando l’offerta politica e allargando ulteriormente la platea di consensi. Così come sembra emergere un probabile risultato di coalizione che premia il centrodestra ai fini della stabilità di governo con una maggioranza di seggi sia alla Camera sia al Senato anche se sui numeri effettivi serve prudenza. Se non altro per il combinato disposto di proporzionale (2/3) e collegi uninominali (1/3), dove chi è in coalizione parte nettamente avvantaggiato rispetto a chi è andato ognuno per conto suo.

Occorre anche qui sempre massima cautela e bisognerà verificare collegio per collegio le dimensioni del fenomeno Conte soprattutto in vaste aree del Mezzogiorno e quelle del fenomeno Calenda nelle grandi città del centro nord. Tra le incongruenze possibili un numero di rappresentanti in Parlamento di Forza Italia superiore a quello che gli spetterebbe per il suo risultato di lista nell’urna. I conti veri li farà Mattarella e li farà solo con i gruppi parlamentari e dobbiamo avere ancora qualche attimo di pazienza. La stabilità di governo è, però, di sicuro la prima delle esigenze ed è incompatibile con la sagra delle dichiarazioni in libertà prima e dopo la formazione del governo.

Questo sentiamo di doverlo dire a cominciare da oggi. Se diamo solo l’idea con le parole di Salvini, membro della coalizione di governo, della catastrofe della nostra economia non solo non riusciamo davvero a scansarla, ma anzi la facciamo deflagrare sui mercati oltre che nei conti familiari e delle imprese. Il risultato dei Cinque stelle nel Mezzogiorno avrà purtroppo un primo effetto negativo di natura psicologica su chi sta investendo e su chi ha in mente di investire nel Mezzogiorno, ma può averne uno molto più pesante nel breve/medio termine se i player internazionali e nazionali privati dovessero convincersi che il Mezzogiorno pensa solo all’assistenzialismo. Assomiglia a una sorta di suicidio collettivo veicolare con il voto il messaggio che inevitabilmente ne deriverà “diamogli un po’ di carità finché possiamo e poi il resto vada tutto al diavolo”.

Speriamo che i dati reali dei territori smentiscano gli exit poll. Perché alternativamente il senso profondo della lettura di questo voto sarebbe quello di una parte di Paese che è rimasta legata al voto di scambio di Achille Lauro, alle destre passate e alle sinistre passate dell’assistenzialismo e che hanno ancora sul territorio viceré e cacicchi pronti a tutto per preservare lo status quo. Questo mi indigna profondamente perché fa a pugni con una classe di amministratori come il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, e di Bari, Antonio Decaro, che rappresentano per competenza e capacità di fare l’esatto contrario.

Mi indigna profondamente perché fa a pugni con un Piano nazionale di ripresa e di resilienza firmato Mario Draghi e Daniele Franco che vuole restituire a Napoli il ruolo di terza capitale d’Italia e che ha ribaltato totalmente le logiche degli ultimi venti anni dando, ad esempio, nella sanità alla Puglia molto di più che a Veneto ed Emilia-Romagna o ha messo la Calabria davanti al Friuli Venezia Giulia, Marche e Liguria. La Campania, per capirci, ha ricevuto il doppio della Lombardia, ma il rapporto di popolazione è inverso, sono scelte che esprimono la coerenza meridionalista degasperiana che è prevalsa in tutto. Dal capitale umano, partendo dagli asili nido fino alla ricerca e alla università, alla rigenerazione urbana così come nelle grandi reti infrastrutturali immateriali e materiali fino ai livelli essenziali di prestazioni per il welfare dedicato all’infanzia e agli anziani. Garantire buoni ospedali e buona medicina del territorio, una rete superveloce che funziona, buoni servizi in genere, collegare il porto di Gioia Tauro all’hub interportuale di Bologna, solo per fare qualche esempio, significa mettere il Mezzogiorno al centro della scommessa competitiva del Paese e fare dell’Italia la porta di accesso dell’intera Europa al Mediterraneo e alla nuova logistica energetica.

Vi consiglio la lettura di Vincenzo Damiani alle pagine VIII e IX. Il tema del Mezzogiorno è decisivo per chi ha avuto il mandato elettorale per guidare il Paese. Dimostrare di essere una destra di governo significa avere la capacità di continuare su questa strada, che è l’opposto dell’assistenzialismo e dell’immagine piagnona del Mezzogiorno, e consolidare la posizione euro-atlantica nel nuovo equilibrio del contesto internazionale. Le turbolenze dei mercati da shock inflazionistici e rialzo dei tassi e il conflitto di civiltà determinato dalla guerra di invasione della Russia in Ucraina sono collegate perché quando si va verso la guerra economia e politica tendono a saldarsi. Perché le grandi nazioni capiscono che economia e politica non possono spezzare il loro legame per la semplice ragione che chi tira le fila, a partire dagli americani, avrà rispetto dei sistemi che si sono sintonizzati sull’onda giusta.

Per noi che siamo da sempre connessi al sistema euro-atlantico esitazioni di qualsivoglia tipo non sono consentite. Vogliamo essere molto chiari. Fratelli d’Italia non potrà più consentire alla Lega di fare la sua consueta baraonda. Perché il futuro dell’Italia, per quanto vi potrà sembrare anche eccessivo, dipende molto di più dalle dichiarazioni in libertà che dall’azione. Se uno parla in giro con il mondo si accorge che il mondo si sta chiedendo una cosa: ma tutti quelli che vogliono abbassare le tasse e fare ogni tipo di detrazione con quale lavoro intendono produrre tutto il reddito per finanziare questa roba qui? C’è o meno consapevolezza, ci si chiede, che se si fa lo scostamento di bilancio a quel punto i mercati anticipano tutti e ti fanno pagare tantissimo in anticipo prima che lo scostamento produca i suoi effetti? Il problema cruciale di dare lavoro e di non trovare quando c’è chi vuole quel lavoro con una crisi demografica spaventosa che produce scenari da incubo, come si concilia con l’idea di cambiare sempre sulle pensioni incidendo sulla finanza pubblica? Evidentemente non c’è contezza del problema nella Lega di Salvini e neppure interesse della gente perché non si è in grado di comprendere fino in fondo i rischi che si corrono. I nostri veri rischi della guerra sono i mercati che stanno a guardare che cosa dice chi ci governerà.

Fino ad oggi sono stati bene impressionati dal fatto che la Meloni non ha detto niente. Solo una volta è scappato qualcosa che evidentemente non è stata in grado di trattenere, come la pacchia è finita, ma poi ha subito chiarito il punto. Forse, il vero problema sarà mettere un cerotto sulla bocca di Salvini per non fargli ripetere quello che ha promesso in campagna elettorale che invece non si deve fare semplicemente perché non si può fare. Per gli stessi mercati, poi, c’è il problema dei Cinque stelle che promettono un sacco di soldi e del Mezzogiorno che ci casca come si capisce chiaramente dalle aree in cui i grillini prendono più voti. L’Europa ci ha dato 80 miliardi gratis, diciamo una donazione, e ci ha fatto un prestito di oltre 100 miliardi a condizioni straordinariamente favorevoli su scadenze molto lunghe con i tassi che sono cresciuti e cresceranno ancora. La vera pacchia che può finire è quella di non avere più quei soldi per il nostro solito, inutile parolificio. Orban non avrà più un euro di sicuro anche se si inginocchia come sta già facendo, ma noi non c’entriamo niente con i diritti civili violati e le chiacchiere italiane su fascismo e post fascismo sono semplicemente ridicole oltre che dannose. Oltre a questo un terzo del debito pubblico è nelle casse della Banca centrale europea dove il voto dei rappresentanti italiani vale come quello dei rappresentanti della Lituania e della Estonia dentro una ventina di persone che girano che sono quelli che decidono.

Questo tipo di situazioni sono i rischi grossi con cui chi governerà l’Italia in qualunque assetto di governo dovrà fare i conti. Non c’è consapevolezza diffusa di quanto beneficiamo come cittadini italiani dal rapporto con l’Europa mentre ne hanno pienissima consapevolezza spagnoli e portoghesi che lo dimostrano in ogni comportamento. Le espressioni ricorrenti che i tecnici non servono sono corrette se riflettono la consapevolezza del giusto primato della politica, ma è davvero troppo chiedere alla politica italiana di fidarsi dei tecnici come fa la politica spagnola e portoghese? Di chiedere informazioni utili per il loro lavoro, ma poi i politici non hanno le risposte che vorrebbero avere e dicono che quelle risposte sono inventate. Dovrebbero avere l’onestà almeno con se stessi di ammettere che uno le promesse le fa solo per essere votato e che se i soldi non ci sono è colpa loro, non dei tecnici che dicono solo la verità che a loro non piace e che si è voluta colpevolmente nascondere agli elettori. E qui si viene al punto finale del problema italiano. Si è voluto nascondere a chi ha votato che il sentiero che stiamo percorrendo è così stretto che se ti giri un po’ a destra e un po’ a sinistra e non ti leghi con il cordino, oggi è davvero molto difficile perché devi avere i tempi e i titoli per agire di fronte a cose che sono estremamente delicate.

Perché lo spread italiano è a 230 contro i 100 circa dei portoghesi e degli spagnoli? Perché siamo alla vigilia del crack o perché c’è mancanza di fiducia nel nostro Paese di crescere e di avere una classe dirigente capace di fare le scelte giuste? Secondo il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, la situazione economica italiana è migliore di quella che appare, molto meglio aggiungiamo noi di quelle spagnola e portoghese, ma ciò che appare fa la realtà. Le parole valgono come oro o come pietre a seconda dell’uso che se ne fa. Ci saranno scelte da fare anche dolorose, ma poi avremo timore a dirle perché ci sarebbero proteste nel breve periodo. Nessuno, però, fa un discorso del genere e allora il 230 di spread non è più un numero al lotto. Perché esprime straordinariamente la percezione che i risparmiatori di tutto il mondo che mettono i soldi nei titoli dei Paesi europei hanno del nostro Paese rispetto ai portoghesi e agli spagnoli. Ai loro occhi siamo peggio nella politica, questo è il loro voto sul nostro Paese. Questo è anche il voto che chi ci governerà senza fiatare dovrà fare alzare rispondendo con i fatti e sentendosi parte integrante della guida della nuova Europa. Nessuno dica poi che non è stato avvisato.


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Alessandro Chiappetta

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