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L'intervento di Mario Draghi a New York 

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Tutti, troppi in casa, hanno sottovalutato in modo abnorme che Draghi parla sempre in un’ottica globale ed è assolutamente credibile in quella ottica. I capi dei partiti italiani non possono avventurarsi in quella stessa ottica globale perché non sono credibili, perché non hanno finora fatto nulla per esserlo e, di certo, non hanno avuto ruoli globali per esprimersi ed essere giudicati. Tutto questo ovviamente avviene proprio nel momento in cui le sfide per la nostra economia e per la nostra vita non si giocano nel chiuso del dibattito romano, ma si decidono a Bruxelles, Francoforte e Washington. Siamo un grande Paese di sicuro, ma per affrontare i pesantissimi problemi che ci attendono chi ci governerà dovrà telefonare a Bruxelles, Francoforte e Washington. L’importante è che qualcuno dall’altra parte risponda e che ci si intenda nella conversazione

Un premio a Mario Draghi come statista dell’anno a New York davanti al gotha dell’economia e della finanza mondiali. Che è l’ennesima rappresentazione della considerazione internazionale che l’uomo riscuote. Si percepisce la forza personale, anche morale, di una precisa scelta di campo e di una linea affatto scontata – la ribadirà all’assemblea generale dell’Onu – che non ammette ambiguità sulle autocrazie e pone l’esigenza alla cooperazione globale di costruire nuovi ponti perché “è in gioco il futuro del mondo: pronti al dialogo ma fermi sugli ideali. Ottimista sull’Ucraina”.

Questo dice in sostanza Draghi e arrivano i complimenti di Kissinger e di Biden. Il presidente americano sottolinea “il suo lavoro per fare avanzare i diritti umani nel mondo. Draghi è stato una voce potente nella promozione della tolleranza e della giustizia, lo ringrazio per la sua leadership”. Sono parole di chi guida la prima potenza economica mondiale che raccontano di Draghi come espressione di una leadership globale di ex capo del governo europeo della moneta che ha salvato l’euro e di guida politica dell’Europa da premier italiano che ha dato la rotta agli altri all’interno di un quadro geopolitico in movimento che porterà a ridisegnare l’ordine mondiale.

Sottovalutando questo punto i partiti italiani commettono un errore grave. Non riflettono come dovrebbero su quello che è Draghi fuori dall’Italia e sul fenomeno che rappresenta. Di sicuro perlomeno mostrano di non rifletterci abbastanza. Draghi è ambito, è l’unico vero punto di riferimento del mondo su Europa e Italia. In particolare, per il nostro Paese rappresenta il metro con il quale il mondo giudicherà l’Italia mentre i partiti che saranno giudicati pensano allegramente che scomparirà.

Indipendentemente se Draghi continuerà a ricoprire ruoli importanti che avrà peraltro certamente, è sicuro che chi ha ruoli importanti nel mondo chiederà lumi a lui su ogni cosa che farà il governo italiano e su come verrà giudicata. Alla prima difficoltà si dirà “succede perché non c’è Draghi” e il sotto testo di questa affermazione suona più o meno così “che cretini questi italiani che lo hanno mandato via”. Quindi, il problema non è più se Draghi farà o meno il secondo mandato a Palazzo Chigi.

Forse, a ben vedere, è addirittura il problema minore se fa o meno il secondo mandato perché in questo caso è legato al ruolo, ma alternativamente è invece molto più libero di pensiero e di azione. Farebbero bene tutte le forze politiche italiane a farci un ragionamento perché devono essere almeno consapevoli che dovranno fare pubblicamente i conti con Draghi che può essere per loro una grande risorsa o un grande problema.

Devono rendersi almeno conto che Draghi sarà la loro ombra di Banco, che è un modo di dire che allude a una scena del Macbeth (Atto III, episodio IV) di William Shakespeare, in cui lo spettro di Banquo viene a terrorizzare il protagonista che si era macchiato del suo sangue. Draghi può diventare per loro il ricordo ossessivo di una cattiva azione, di una colpa. Lo può diventare per qualunque tipo di governo verrà, anche ingiustamente.

Potrà accadere naturalmente appena non si riuscirà a fare qualcosa in una clamorosa rivincita della storia, di certo per quei partiti che hanno accoltellato Draghi alle spalle facendo cadere il suo governo a viso coperto. Che sono peraltro gli stessi che prima non lo avevano voluto al Quirinale perché avevano già deciso di liberarsi dell’intralcio mentre avrebbero dovuto viceversa mandarlo sul Colle più alto proprio per averlo come loro Lord protettore rispetto al mondo.

Tutti, troppi in casa, hanno sottovalutato in modo abnorme che Draghi parla sempre in un’ottica globale ed è assolutamente credibile in quella ottica. Gli altri non possono avventurarsi in quella stessa ottica globale perché non sono credibili, perché non hanno finora fatto nulla per esserlo. Tutto questo ovviamente avviene proprio nel momento in cui le sfide per la nostra economia e per la nostra vita non si giocano nel chiuso del dibattito romano ma si decidono a Bruxelles, Francoforte e Washington. Il rendimento del Btp decennale è già serenamente salito sopra il 4,2%, la crescita rallenta perché rallenta il mondo e il nostro deficit del 2023 va da solo in automatico oltre il 5% e qualcosa. Forse anche un po’ più su. Che vuol dire altri 20 miliardi da cercare che si aggiungono ai 30/40 che abbiamo già sul groppone solo per mantenere gli impegni assunti. Siamo un grande Paese certo, ma per affrontare questi pesantissimi problemi chi ci governerà dovrà telefonare a Bruxelles, Francoforte e Washington. L’importante è che qualcuno dall’altra parte risponda e che ci si intenda nella conversazione.


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Stefano Mandarano

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