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Luigi Mancuso

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VIBO VALENTIA – Com’era ormai divenuto inevitabile, ecco la decisione dei giudici per il boss Luigi Mancuso che si uniformano a quella adottata dai colleghi di un’altra sezione per il presunto vertice del clan di Zungri, Giuseppe Antonio Accorinti: ricusazione dei giudici Brigida Cavasino e Gilda Romano accolta e conseguentemente posizione stralciata e processo a parte rispetto alla totalità delle persone nel filone primario di “Rinascita-Scott” che adesso perde il suo principale imputato, colui il quale è ritenuto a capo di tutte le ’ndrine del vibonese, l’uomo sul quale si fonda l’assunto della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro della ’ndrangheta unitaria.

La figura del boss Luigi Mancuso era stata menzionata nelle motivazioni della sentenza “Nemea” (in cui non figurava tra gli imputati) poi confluita in “Rinascita-Scott” dove la si poneva a capo delle consorterie criminali vibonesi. In quella circostanza, dunque, i due magistrati ricusati avevano espresso un giudizio nei confronti del boss e questo aveva dato la stura ai suoi legali, gli avvocati Paride Scinica e Francesco Calabrese, di proporre istanza di ricusazione. La vicenda, dopo un primo rigetto dalla Corte d’Appello, era approdata in Cassazione che aveva a sua volta annullato con rinvio ad una nuova sezione dei giudici di secondo grado catanzaresi. Che, questa volta, l’anno accolta.

Nell’ordinanza si specifica che il Collegio di Rinascita-Scott ha espresso sul conto di Mancuso una valutazione di merito, nella parte in cui egli viene descritto quale “vertice dell’area cui facevano capo le altre articolazioni criminali”, ed altresì descritto il suo intervento sui Soriano in due occasioni: l’una riguardante un’estorsione praticata nei confronti di un imprenditore e l’altra una rapina commessa dal nipote Emanuele Mancuso (poi divenuto collaboratore di giustizia).

In particolare, il Collegio si era espresso in questi termini: “A tale proposito, il dichiarato complessivo dei collaboratori escussi nel giudizio e le risultanze della complessiva indagine svolta a tutto campo verso il fenomeno mafioso calabrese, ha permesso di individuare Luigi Mancuso come la figura principale e di spicco della `ndrangheta calabrese, cui fanno capo, quanto meno in senso di sottomissione e di riconoscimento della sua maggiore caratura, tutte le realtà criminali calabresi, riconoscendo la sua maggiore importanza”.

Nella motivazione viene descritto, a seguire, il ruolo concretamente svolto dal Mancuso che intervenne per impedire ai Soriano di praticare estorsioni all’imprenditore Pasqua, in quanto suo “protetto”, culminandosi con la seguente osservazione sul ruolo del ricusante: “Ne emerge quindi quell’elemento psicologico che è evidente sussistere in tutte le cosche criminali calabresi, che si auto riconoscono come gruppo di potere nel proprio territorio di riferimento, ma al contempo sanno di coesistere nel più ampio alveo criminale calabrese di rispetto reciproco e che necessitano di un beneplacito, scongiurando offese e scontri con il Crimine di Polsi, la realtà ’ndranghetistica di vertice nella regione e, nel settore territoriale qui di riferimento, e quindi con il Capo crimine, la figura di vertice nel vibonese, Luigi Mancuso di Limbadi”.

Orbene, secondo la Corte d’Appello, la valutazione dell’operatività di Mancuso nel ruolo apicale operata nel processo “Nemea” al fine di valutare la posizione associativa dei Soriano, fondata sulla valutazione di fonti di prova in parte coincidenti con quelle del processo Rinascita-Scott, ha “senz’altro integrato una valutazione di merito sullo stesso fatto associativo per il quale è imputato nel processo in corso”. Di conseguenza, ciò concretizza l’ipotesi di ricusazione.

Quanto alla delibazione sulla richiesta di declaratoria di efficacia degli atti – su cui le parti sono già state sentite nel corso dell’udienza camerale – l’ingente mole del materiale riversato all’odierna udienza importa che essa sia affidata a successivo provvedimento, giusta pronuncia delle Sezione unite “Cassazione Gerbino”.

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