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Vladimir Putin

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A tutti i professoroni e professorini del circo politico, mediatico e intellettuale italiano che continuano a ripetere che le sanzioni occidentali hanno fatto il solletico ai russi e malissimo agli italiani, l’unica risposta possibile con un minimo di decenza è quella di mandarli tutti a quel paese. Perché la menzogna diventa spudorata. La realtà è fatta di danni gravi congiunturali a tedeschi e italiani e di danni strutturali non più recuperabili alla Russia di Putin. Il combinato disposto della duplice azione dell’Occidente fatta di invio delle armi agli ucraini e di effetto a tenaglia delle sanzioni fa sì che Putin non ha più le entrate da petrolio e gas che costituiscono oltre un terzo del bilancio nazionale. Se io vivo di un solo bene e questo bene posso venderlo solo all’Europa perché se voglio venderlo in Cina devo fare un altro gasdotto che non sarà pronto in meno di sei anni, è evidente che non sto solo chiudendo i rubinetti del gas russo alla Europa ma sto mandando i libri in tribunale delle società che gestiscono le mie due casseforti.

PUTIN è stato colpito al cuore dalle sanzioni finanziarie europee ideate da Mario Draghi che hanno congelato tutte le riserve all’estero della Russia e hanno sancito l’isolamento produttivo del suo tessuto economico. Il combinato disposto della duplice azione dell’Occidente fatta di invio delle armi agli ucraini e di effetto a tenaglia delle sanzioni impedisce oggi a Putin di ricostituire l’apparato militare perché non ha più la cassa. A tutti i professoroni e professorini del circo politico, mediatico e intellettuale italiano che continuano a ripetere che le sanzioni occidentali hanno fatto il solletico ai russi e malissimo agli italiani, l’unica risposta possibile con un minimo di decenza è quella di mandarli tutti a quel paese. Perché la menzogna diventa spudorata e avvolge in una nuvola di propaganda la realtà che vedono tutti a occhio nudo.

La realtà è fatta di danni gravi congiunturali a tedeschi e italiani e di danni strutturali non più recuperabili alla Russia di Putin. Siamo arrivati al redde rationem e, di sanzione in sanzione segnate da controricatti putiniani sempre più da disperato, Gazprom e Lukoil viaggiano a passo spedito verso la bancarotta e lo Stato russo è costretto a prendere atto che non ha più le entrate da petrolio e gas che costituiscono oltre un terzo del bilancio nazionale. Nei primi sei mesi dell’anno la Russia aveva accumulato un surplus di bilancio di 32 miliardi, ad agosto è crollato a 2,3. Se io vivo di un solo bene e questo bene me lo compra l’Europa per 200 su 210 miliardi di metri cubi di gas l’anno tra Unione europea (155) più il resto ripartito tra Inghilterra e Turchia, e non posso sostituire questo cliente perché il mio prodotto “viaggia” nei gasdotti e per raddoppiare la piccola quota che vendo a prezzi stracciati in Cina potrò iniziare i lavori del nuovo gasdotto nel 2024 e non sarò pronto se tutto va bene prima di quattro anni dopo, è evidente che non sto solo chiudendo i rubinetti del gas russo alla Europa ma sto mandando i libri in tribunale delle società che gestiscono le mie due casseforti.

Perché al nuovo appuntamento dall’altra parte del mondo non ci arrivo vivo. Il mondo occidentale, Germania in primis e Italia a seguire perché è stata infinitamente più veloce della prima nel perseguire una politica di diversificazione delle fonti di approvvigionamento, sta pagando un conto molto duro sul piano congiunturale in termini di caro bolletta, ma la caduta che questo tipo di comportamenti di Putin produce in Russia è una caduta strutturale non recuperabile. Quindi, dovrà arrendersi molto presto se la resa di fatto non è stata già firmata. Perché se metto in gioco la voce più rilevante delle entrate del mio bilancio già esangue a causa delle sanzioni occidentali con un prodotto interno lordo in caduta libera e una massiccia, quotidiana fuga di capitali dal mio Paese, il risultato è che non ho più neppure un rublo stracciato per cambiare i cingolati dei miei carri armati e devo giocoforza prendere atto che quella minuscola quota di gas che ancora potrò vendere a prezzi di saldo in Asia è un’arma a doppio taglio.

La lama più affilata delle due tocca me stesso e per evitare ferite e cicatrici non mi basterà alla lunga continuare a fare “cadere” in mare i miei uomini più fidati. Come è avvenuto appena qualche giorno fa con Ivan Pechorin, 39 anni, l’uomo chiave di Putin nell’Artico, caduto fuori bordo durante una gita in barca in stato di ubriachezza. Praticamente stiamo parlando dell’unico top manager che rispondeva direttamente al nuovo zar russo e che guidava l’Istituto per lo sviluppo nell’Estremo Oriente e nell’Artico, un’agenzia di cooperazione pubblico privata per i territori più lontani da Mosca. Quello di Pechorin è solo l’ultimo nome della lista di “morti illustri” tra oligarchi e uomini di affari degli ultimi mesi. Ravil Maganov, 67 anni, già presidente di Lukoil, è caduto una decina di giorni fa da una finestra al sesto piano di un’ospedale di Mosca. Altri, ex capi dei due colossi energetici russi, sono stati trovati morti nel seminterrato di uno “sciamano” o si sono impiccati o sono caduti da altre finestre o uccisi direttamente davanti alle loro abitazioni.

Diciamoci la verità. La cronaca ci racconta che sta succedendo qualcosa di molto profondo e nessuno può ragionevolmente credere ai dati taroccati dell’economia russa forniti dall’istituto centrale di statistica nazionale che raccontano peraltro già nella loro cosiddetta versione ufficiale il quadro di un’economia che marcia a fari spenti verso il burrone. Perfino nella tv di Stato russa c’è chi parla senza mezzi termini di guerra non più di “operazione speciale” e ovviamente tutti sono costretti a constatare che questa guerra in Ucraina Putin la sta perdendo e non ha più i soldi per riarmarsi e continuare a combattere. Altro che sanzioni finanziarie che fanno il solletico a Putin e fanno saltare l’Italia, bei simpaticoni della balla mediatica italiana.

Sì, certo la capacità di resistenza di noi europei rispetto al popolo russo non è nemmeno comparabile. Può essere misurata anche da un sudore di ascella scambiato per una broncopolmonite o dall’idea che se salta la struttura di costi di due mesi per un’impresa stiamo già parlando di un’impresa fallita. È così nell’arena mediatica del comizio elettorale permanente dove non si riesce neppure a distinguere tra imprese energivore – acciaio, carta, ceramica e vetro – che hanno un problema serissimo e per le quali bisogna intervenire con urgenza, il potere di acquisto delle famiglie più vulnerabili che è stato già tutelato, e la carica di chi continua a chiedere solo di sussidiare i suoi profitti che va invece respinta.

La verità è che noi abbiamo le nostre gatte da pelare e che tutto si sarebbe dovuto fare meno che indebolire Draghi per avere dall’Europa il massimo possibile come tetto alla speculazione, nuovi meccanismi di prezzo e compensazioni, ma la Russia ha un problema strutturale che la porta a fondo se non pone immediato rimedio riaprendo i rubinetti del gas verso l’Europa a un prezzo giusto. Questa è la realtà. Con un’aggravante che non può essere sottovalutata perché in quel mondo il Paese è solidale con Putin finché vince sul campo di battaglia, ma come sempre accade nei Paesi dittatoriali si sa bene quello che succede quando vinci ma non si sa che cosa può capitare quando cominci a perdere.

C’è sempre un commercio internazionale di armi, ma il soccorso militare cinese alla Russia non sta arrivando e in Italia si cercano i rubli di Putin ai partiti populisti che nel dossier dell’intelligence americana non ci sono, ma tutto fa brodo per alzare il polverone che non cambierà la testa e il voto degli italiani rispetto alle fazioni in campo. Servirebbe, molto di più, spiegare bene quanto hanno funzionato le sanzioni dell’Occidente e perché in termini geopolitici generali e di interesse italiano la virtù che più di tutte dobbiamo esercitare è la capacità di capire come stanno davvero le cose.

Non farebbe male rendersi conto che il Paese europeo che ha saputo diversificare meglio di tutti le sue fonti di approvvigionamento è stato l’Italia, grazie al gioco di squadra del governo di unità nazionale guidato da Draghi e al ruolo guida svolto dall’Eni in Africa e Medio Oriente restituendoci quella leadership nel Mediterraneo che ci era stata sottratta dai francesi in un passato recente. Non farebbe male rendersi conto che a partire da Piombino con il rigassificatore, trivellazioni e fonti rinnovabili non abbiamo più tempo da perdere per fare noi in casa quello che dobbiamo fare.


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