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Roberto Porcaro

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COSENZA – La data era cerchiata in rosso sui taccuini degli avvocati di mezza provincia, e non solo. A Cosenza, Catanzaro, Vibo e in vari istituti penitenziari sparsi per l’Italia ieri è stato il giorno degli interrogatori di garanzia per i primi 139 sugli oltre 200 indagati nel maxiblitz della Dda di Catanzaro, ovvero coloro che risultano attinti dalla misura di custodia cautelare in carcere.

Si parte da lì, e in primis da Roberto Porcaro che, in base alla ricostruzione messa in piedi dalla Procura diretta da Nicola Gratteri e alle dichiarazioni di pentiti e collaboratori di giustizia, era il braccio destro del boss Francesco Patitucci al vertice di una confederazione mafiosa che aveva il controllo pressoché totale su Cosenza e il resto del territorio.

Porcaro, già ristretto nel carcere di Parma e difeso dagli avvocati Luca Acciardi e Sergio Rotundo, è stato interrogato per rogatoria e si è avvalso della facoltà di non rispondere. Altrettanto dicasi per Luigi Abbruzzese alias “Pikachu” e Gennaro Presta, reclusi rispettivamente negli istituti di Voghera e Parma e difesi da Cesare Badolato e che, al pari di molti altri, hanno scelto la via del silenzio.

Non rispondono al gip Andrea De Giovanni, interrogato dal gip del Tribunale del capoluogo, né Alessandro Catanzaro, interrogato a Vibo Valentia. Sempre a Vibo, Renato Piromallo e Giuseppe Bartucci hanno reso dichiarazioni spontanee, così come pure Andrea Bruni il quale, in una lunga e articolata deposizione, ha dichiarato al giudice la propria innocenza.

Ancora, a Cosenza, il gip Salvatore Carpino ha interrogato, per rogatoria, l’imprenditore Remo Florio il quale, difeso dal penalista Enzo Belvedere, ha affermato di non avere mai avuto «alcun tipo di avvicinamento né di legame con la criminalità organizzata», e di trovarsi coinvolto, suo malgrado, in quello che a suo dire sarebbe «un clamoroso errore giudiziario». Francesco Ciliberti e Armando Antonucci, anch’essi difesi dall’avvocato Belvedere e comparsi entrambi dinanzi al giudice del Tribunale bruzio, hanno risposto al gip non solo negando ogni addebito ma facendo, altresì, presente di essere coinvolti nel procedimento (tuttora in corso) iniziato tre anni fa e denominato “Valle dell’Esaro” nel quale vengono loro contestate le medesime condotte odierne, ragione per la quale, nel caso di accoglimento della tesi difensiva si configurerebbe ciò che in gergo giuridico si chiama “ne bis in idem” (“non due volte per la medesima cosa”).

L’imprenditore Ariosto Artese, fratello dell’attuale vicesindaco di Rende, difeso dall’avvocato Giorgio Misasi, ha anch’egli risposto alle domande del gip di Vibo Valentia respingendo ogni accusa nei suoi confronti. Nel frattempo, Costantino Scorza detto “il vecchio”, affetto da una grave malattia, è stato scarcerato e trasferito ai domiciliari.

Il prossimo 5 settembre si preannuncia un’altra “giornata calda” per i Palazzi di giustizia. Mentre già si preannuncia una pioggia di istanze di Riesame e impazzano le polemiche sugli interrogatori in rogatoria (modalità che, a dire di diversi avvocati, penalizzerebbe la difesa degli indagati) in mattinata toccherà all’indagato di punta del romanzo criminale in salsa cosentina, Francesco Patitucci, difeso dagli avvocati Luca Acciardi e Luigi Gullo, che sarà sentito in video dalla Casa circondariale di Rovigo presso cui è detenuto.

Nel pomeriggio, poi, sarà la volta di Marcello Manna (difeso da Andrea e Giuseppe Manna, Nicola Carratelli e Giandomenico Caiazza), degli avvocati Paolo Pisani (difeso da Acciardi e Badolati) e Rosa Rugiano (difesa da Rodolfo Alfieri) e, presumibilmente, anche di Pino Munno (difeso da Enzo Belvedere). Tutti e quattro gli indagati si trovano ai domiciliari e saranno interrogati presso il Tribunale di Catanzaro.

I REATI CONTESTATI

I soggetti coinvolti nell’indagine “Reset” sul Sistema Cosenza, scattata all’alba del primo settembre scorso, sono 254. Nei loro confronti la Procura antimafia ipotizza, a vario titolo, i reati di associazione di tipo ‘ndranghetistico, associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, aggravato dalle modalità e finalità mafiose, organizzazione illecita dell’attività di giochi – anche d’azzardo – e di scommesse, riciclaggio, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di beni e valori.

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