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Celestino Abbruzzese, detto &amp;amp;amp;amp;quot;Micetto&amp;amp;amp;amp;quot;

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COSENZA – Il “Sistema Cosenza”, alla base della “confederazione” fra sette famiglie di ‘ndrangheta che si spartirebbero le attività illecite nella città bruzia e nei dintorni, lo ha raccontato meravigliosamente il pentito Celestino Abbruzzese detto “Micetto”. Era un patto, stando al racconto finito al vaglio degli inquirenti che hanno condotto la maxi operazione, tra gruppi di “zingari” e “italiani” che gestivano in maniera unitaria i traffici di droga.

«Per “Sistema” intendo un accordo tra organizzazioni come se fosse un’unica associazione dedita al narcotraffico, per evitare di entrare in lite… quando uno prende la sostanza da altri vuol dire che c’è quello che noi definiamo “sottobanco”». Chi sgarrava veniva massacrato di botte.

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«Nei periodi in cui si spacciava di meno, cercavamo le persone che facevano il sottobanco… queste, una volta individuate, venivano punite, picchiate e a loro venivano richieste somme di denaro per risarcire il “Sistema”… questi proventi dal sottobanco confluivano nella bacinella comune e venivano suddivisi tra i gruppi degli zingari e quelli degli italiani». Insomma, «ogni spacciatore che “lavora” a Cosenza è vincolato con uno dei gruppi che fa parte del “Sistema”».

Anche Franco Bruzzese parla di un accordo tra “zingari” e “italiani”, a suo dire suggellato nel novembre 2011, quando andò a far visita al latitante Ettore Lanzino, che si nascondeva in un sottoscala. «Oltre a Lanzino erano presenti per gli italiani Umberto Di Puppo, Francesco Patitucci e altri due… degli zingari – aggiunge – c’eravamo io e Maurizio Rango».

Il patto stipulato in quella sede prevedeva la creazione di una «bacinella in comune nella quale sarebbero dovuti confluire tutti i proventi delle attività illecite del gruppo ormai confederato e vi sarebbe stata una spartizione al 50 per cento per il gruppo degli zingari e al 50 per cento per il gruppo Lanzino». Ma Lanzino pretese poi il 60 per cento perché del clan avrebbero fatto parte anche i Chirillo di Paterno Calabro e i Presta di Tarsia.

Il pentito Silvio Gioia precisa che la “bacinella” era gestita da Renato Piromallo che avrebbe provveduto al pagamento degli stipendi degli affiliati ma anche di avvocati e carcerati. Mentre le dazioni delle percentuali delle rapine erano competenza di Rango e Roberto Porcaro.

Il pentito Daniele Lamanna narra di un summit nel corso del quale i vertici delle due organizzazioni sancirono «una volta per tutte la pace» ma anche la costituzione del gruppo federato con una ripartizione di ruoli. «Venne stabilito – sostiene Lamanna – che Patitucci fosse il rappresentante dei latitanti Presta e Lanzino e che avesse la gestione delle estorsioni unitamente a Michele Bruni. La gestione della vendita dello stupefacente su Rende era affidata a Umberto Di Puppo mentre io e Piromallo [operavamo, ndr] prevalentemente su Cosenza e provincia».

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