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Matteo Salvini e Luca Zaia

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SEMBRA esserci un copione ormai fisso, anche se non codificato, nei rapporti non propriamente idilliaci tra il governatore del Veneto Luca Zaia e il segretario federale Matteo Salvini. Zaia è impegnato, almeno a parole, soltanto nell’amministrazione della Regione Veneto, non della gestione del partito, neppure per cercare sponde parlamentari. E lascia a Salvini la gestione delle candidature, attraverso la rete di uomini del partito e commissari provinciali che fanno riferimento a lui. Da una parte la Regione, dall’altra la Lega per Salvini Premier, che difficilmente farà il primo ministro. Una divisione perfetta, anche per evitare scintille.

I SILENZI DI ZAIA

Eppure nelle scorse settimane Salvini aveva manifestato l’intenzione di mettere in lista i tre governatori di Lombardia (Attilio Fontana), Veneto (Luca Zaia ) e Friuli Venezia Giulia (Massimiliano Fedriga). Una mossa calcolata per alzare le sorti elettorali della Lega che, sondaggi alla mano, si trova di parecchie incollature dietro a Fratelli d’Italia. Il tentativo servirebbe a sfruttare i bacini storici di voti, in particolare quello Veneto, dove Zaia ha ottenuto nel settembre il 76 per cento dei consensi.  

La mossa del segretario, nelle intenzioni, avrebbe anche l’obiettivo di condividere le responsabilità di eventuali delusioni elettorali, coinvolgendo i leader territoriali in una campagna che potrebbe rivelarsi a handicap, se rapportata alla crescita del partito di Giorgia Meloni. Però Zaia ha messo una pietra tombale sull’ipotesi. Intervistato, in questi giorni più volte ha continuato a dire che non vuole candidarsi per il Parlamento e non ha neanche l’ambizione di fare il ministro: «È un fatto di serietà, sono in ballo delle partite veramente importanti in Veneto, anche più importanti delle Olimpiadi. Potrei candidarmi alle politiche e poi dimettermi a elezioni avvenuta? Non sarei serio».  

Però non è tipo da stare a guardare, anche perché il malumore cresce tra gli uscenti, visti i tagli delle poltrone e un prevedibile calo di consensi. Sulle candidature, pubblicamente Zaia non dice niente, ma non vive sulla luna, e non può lasciare che Salvini gestisca tutto da solo. A un giornale locale ha ammesso: «Uno può essere silente, ma non assente». Aggiungendo subito dopo: «L’autonomia è il primo punto. Sull’autonomia o il centrodestra c’è o non c’è, e se non c’è si dissolverà come neve al sole. Il Veneto ha atteso a sufficienza».

IL NODO AUTONOMIA  

La frase, unita al rifiuto a candidarsi per fare da traino del partito, è una specie di ultimatum al partito. Non a caso Salvini si è fatto fotografare in un manifesto elettorale assieme a Zaia con una scritta che salda autonomia e campagna elettorale. «Autonomia, oppure gli sprechi della sinistra» c’è scritto. Ma finora il segretario sul tema dell’autonomia si è limitato a questo, dichiarare che lui ci «crede». Il fatto che Zaia ponga l’accento sull’autonomia dimostra quanto il nervo sia scoperto, considerando che il governo giallo-verde nel 2018 non portò a casa la riforma, nonostante una ministra leghista (Erika Stefani) nominata con questo compito.  

Adesso la Lega ribolle. Da una parte per i richiami all’autonomia, dall’altra per la scure che taglierà molti dei parlamentari uscenti. La pattuglia di 32 tra deputati e senatori leghisti che hanno vissuto l’esperienza della legislatura è destinata ad assottigliarsi considerevolmente. Pensiamo ai 17 collegi uninominali. Il centrodestra è convinto di conquistarli tutti. Nella ripartizione tra alleati, la Lega ne dovrebbe avere solo 7 o 8, lasciandone 5 o 6 ai Fratelli d’Italia, e gli altri a Forza Italia e partitini. Questo dà la dimensione della cura dimagrante. Soltanto quando le liste saranno pronte si saprà chi dovrà rinunciare. Di certo i favoriti a tornare a Roma sono i fedelissimi di Salvini, che nella gestione del partito non è abituato a fare prigionieri.

CRITICHE DALLA BASE  

Sull’autonomia insistono tutti gli uomini di Zaia. Il presidente del consiglio regionale, Roberto Ciambetti, mette l’autonomia sullo stesso livello della libertà e della democrazia. Il capogruppo Alberto Villanova in Regione rincara dicendo di credere nella bandiera del popolo Veneto e «nel nostro sacrosanto diritto all’autonomia». Sono temi e slogan ribaditi da tanti altri consiglieri regionali o sindaci, quasi un riferimento compulsivo al popolo veneto, alla bandiera, al simbolo del leone di serenissima memoria.

Ad esempio, Roberto Marcato, assessore, che fa parte del cerchio magico di Zaia, dichiara: «Credo in un Veneto autonomo e credo che siamo stanchi di aspettare. Autonomia: io ci credo». E sulle candidature ha detto: «Scelte calate dall’alto, di solito venivano coinvolti i territori, invece sembra che si vada verso la riconferma degli uscenti. E mi risulta che a qualche segretario di sezione non sia arrivata alcuna comunicazione».


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