Luigi Bonaventura
2 minuti per la letturaCROTONE – «Non ho denunciato perché ormai non serve più denunciare. Menti raffinatissime hanno deciso di farmi ammazzare. Sono senza protezione dall’ottobre 2014». Così risponde Luigi Bonaventura, ex reggente della cosca di ‘ndrangheta di Crotone e pentito tra i più impegnati, dal momento che lo hanno sentito le Dda di mezza Italia ma anche le Procure tedesche, quando gli si chiede se ha denunciato le minacce che riceve su Tik Tok, dove è di recente approdato con le sue dirette.
“Peccato che ti anno mancato ma dove corri?” l’ultimo messaggio intimidatorio, con tanto di errore di grammatica; una frase proveniente, a quanto pare, da Cutro. A lui Bonaventura si è rivolto in diretta. «Cosa ti brucia, ho fatto arrestare o condannare qualche tuo parente? Da dove la prendi questa rabbia? La tua anima è tetra, buia, guarisci e cambia testa».
Qualcuno, poi, gli dice che Rino Bonaventura (suo padre, morto nel 2015, uno dei capi del clan) non sarebbe fiero di lui, qualcun altro gli intima: “se non vuoi essere sciolto nell’acido evitami”.
«Vengono nelle mie dirette per minacciarmi. Vogliono che evitiamo di parlare di mafia. Su Tik Tok regnano la violenza, il razzismo, la discriminazione ma anche la mafia e la mafiosità», dice il crotonese al Quotidiano. Ma il pentito Bonaventura con la sua associazione “Sostenitori dei collaboratori e testimoni di giustizia” vuole farsi pioniere di una battaglia anche sui social, anche su Tik Tok.
“Striscia l’antimafia”, così ha chiamato le dirette in cui propone una contro informazione all’insegna della «lotta alla cultura della mafiosità». Non ha paura, anche per questo non denuncia formalmente (per ora) le minacce che gli arrivano via social. «Ho ricevuto minacce ben più gravi. Non sono preoccupato. Ma un programma di protezione serio dovrebbe proteggere un collaboratore di giustizia, un denunciante, anche da questi attacchi. Menti raffinatissime hanno fatto passare il messaggio che è tana liberi per tutti quando i pentiti ricevono affondi come questi. La verità è che siamo carne da macello. Quando non avevano il coraggio di attaccare i magistrati se la prendevano con noi, che eravamo il parafulmine dei magistrati, ora che vengono minacciati anche i magistrati la tensione su di noi si è un po’ alleggerita ma restiamo sempre sotto attacco».
Sullo sfondo, resta un paradosso. La revoca del programma di protezione dal 2014 per Bonaventura. I suoi familiari, invece, come già riferito dal Quotidiano, hanno dovuto fare ricorso al Tar del Lazio per essere riammessi a protezione, proponendo un ricorso contro il provvedimento della Commissione centrale del ministero dell’Interno che l’aveva revocata nonostante i pareri della Dda di Catanzaro e della Dna favorevoli alla proroga considerati anche gli impegni processuali e la necessità di salvaguardare l’incolumità sua e dei congiunti.
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