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BERNALDA – Il tribunale di Matera, giudice Giuseppe Disabato, ha condannato il ginecologo dell’ospedale di Policoro, Carlo Capodiferro, a un anno di reclusione, più il pagamento delle spese processuali, nell’ambito del procedimento penale per la morte di Rosalba Pascucci, la 32enne di Bernalda, deceduta nel 2010 dopo un parto gemellare, avvenuto nel nosocomio jonico.
Capodiferro intervenne per operare un taglio cesareo, nonostante fosse libero dal servizio, in quanto ginecologo curante della donna. Il giudice non ha ravvisato alcun elemento di responsabilità a carico di Giovanni Manolio, il ginecologo di guardia, quella notte del 8 settembre, assolvendolo con formula piena. L’Azienda sanitaria materana, invece, è stata condannata in solido al risarcimento dei danni subìti dalla costituita parte civile “Cittadinanzattiva – Tribunale dei diritti del malato”, rappresentata dall’avvocato Leonardo Pinto, da liquidarsi in separata sede con le spese legali. Rigettata, invece, la richiesta di riconoscimento danni avanzata da un gruppo di familiari della vittima, rappresentati dall’avvocato Emilio Nicola Buccico.
Il caso di Rosalba suscitò molto scalpore, per la dinamica di quanto accaduto, l’attenzione dei media nazionali e l’arrivo dell’ispezione ministeriale a Policoro. Colpì anche lo strazio del marito, Andrea Buongiorno, passato dalla gioia di avere avuto i gemellini Rocco e Cristiano, al dolore lancinante della perdita della moglie, avvenuta poche ore dopo. Il caso fu preso a cuore anche da Cittadinanzattiva – Tdm, che si costituì parte civile nel procedimento penale durato 5 anni. Nel corso della relativa istruttoria dibattimentale, l’avvocato Pinto ha fatto emergere elementi di grave responsabilità in merito alla morte della giovane bernaldese. La segretaria regionale di Cittadinanzattiva, Maria Antonietta Tarsia, ha osservato, tra l’altro, che: «L’istruttoria dibattimentale del processo ha fatto emergere una gestione “privatistica” del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale di Policoro, più volte denunciata dal Tdm. Infatti, è stato lo stesso imputato Giovanni Manolio, a spiegare al Tribunale le implicazioni che ha avuto nella triste vicenda il rapporto “professionale privato” tra l’imputato Capodiferro e la Pascucci in struttura ospedaliera pubblica. Non si tratta di caso isolato, ma di prassi presente anche in altre strutture ospedaliere pubbliche. Ora ci si attende dall’Asm, proprio in base alle emergenze processuali, iniziative concrete per far cessare tale inammissibile consuetudine. Il Tdm continuerà a perseguire i suoi scopi statutari, attraverso una strenua vigilanza sulle strutture sanitarie pubbliche per scongiurare altri tristi episodi di colpa medica grave, come quella di cui si è occupato il Tribunale di Matera, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia tanto da aver cagionato la morte di Rosalba Pascucci».
Secondo l’avvocato Pinto, «il Tribunale ha giudicato sulla base dei fatti emersi nel corso del dibattimento, tra questi anche l’ipotesi secondo la quale Pascucci avrebbe potuto partorire naturalmente. Il processo si è snodato attraverso una istruttoria complessa e puntuale con l’esame, oltre che di molti testimoni, anche di più consulenti tecnici della pubblica accusa e della difesa degli imputati. Il Tdm, in ossequio ai suoi scopi statutari, si è costituito parte civile per collaborare con la giustizia nella ricerca della verità sulle cause della morte, verificatasi dopo il parto cesareo. Sulle ragioni che hanno determinato la condanna del solo imputato Capodiferro e l’assoluzione dell’altro imputato, Giovanni Manolio, aspetto di leggere la sentenza».
La difesa di Capodiferro ha cercato di dimostrare in aula che non vi erano tracce di emorragia, anzi che alle 6 del 9 settembre, la paziente è stata addirittura estubata in quanto stava meglio. Secondo la difesa, l’emorragia sarebbe sopraggiunta poco dopo, in seguito ad una lacerazione silente di 5 cm sulla parete destra dell’utero. Elementi che indurranno l’avvocato del ginecoloco, Vincenzo Adamo, a presentare appello. Gli uffici dell’Asm fanno sapere che ottempereranno a quanto disposto in sentenza, mentre il deposito delle motivazioni è fissato tra 45 giorni.

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