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VIBO VALENTIA – «La sanità pubblica oggi? Solo un’azienda che deve produrre utili e consenso elettorale per i padroni di turno del vapore. E i medici? Quelli di una volta stanno via via scomparendo, quelli di oggi sono carne da macello».

Non potrebbe essere più amaro lo sfogo di Enzo Giunta, 66 anni, apprezzato neurologo vibonese, con 16 anni di servizio nel relativo reparto dello Jazzolino dopo una corposa gavetta al pronto soccorso, oggi (ormai alle soglie della pensione) nella specialistica presso i poliambulatori. Una riflessione, la sua, ancor più significativa dunque, visto che non parla per sentito dire, si tratta cioè di un addetto ai lavori, un professionista che conosce bene la problematica. La sua pubblica denuncia muove da un ricordo personale, quando molti anni fa, di guardia notturna in ospedale, fu chiamato al pronto soccorso per un traumatizzato stradale in condizioni disperate. Lui e l’intera equipe (anestesisti, ortopedici, chirurghi generali, chirurghi vascolari) si prodigarono incessantemente per tutta la notte.

Un lavoro di squadra che si dimostrò efficace: «Al mattino, prima di lasciare il servizio, telefonai in terapia intensiva. Mi rispose la collega: è vivo, stabile, abbiamo fatto un buon lavoro. Tornai a casa ma non riuscii a prendere sonno: tutta quell’adrenalina accumulata mi girava ancora in corpo, vorticosamente. Quell’uomo era vivo solo grazie a quei medici che avevamo passato la notte in bianco per lui».

Da allora, rileva Giunta, sono passati vent’anni ed è cambiato quasi tutto nel modo di intendere la vita ospedaliera, la politica ha preso il sopravvento e tirato i cordoni della borsa. «I medici sono diventati carne da macello. La sanità si è trasformata in un’azienda che deve fabbricare utili, dividendi e consenso elettorale. Però, siccome costa troppo, deve anche tramutarsi in qualche altra cosa, lasciare spazi, cedere terreno. Mutare natura. Ma in silenzio, senza fare troppo rumore».

Ai nuovi medici, giunti via via a sostituire i vecchi, non piace passare le notti in bianco nel pronto soccorso o nelle sale operatorie: «Meglio un lavoro “impiegatizio”. Meglio un lavoro da casa, se possibile. Meno responsabilità, meno rotture di scatole, più soldi in tasca. Chi è rimasto delega: meglio una Tac in più, anche se non necessaria, che una in meno. Pazienza se tra vent’anni quella Tac causerà un tumore da qualche parte. La medicina ha smesso di essere un’arte, insomma, e le manca ancora troppo per diventare una scienza esatta. Meglio non rischiare…».

Giunta riporta lo sfogo di un collega che in piena notte si ritrova, spesso da solo, alle prese con un’urgenza addominale. Solo lui, il tecnico e la Tac: «E – gli dice – non dovrei nemmeno essere lì, in quel momento, perché non è più il mio ruolo, quello. Mi domando: perché quasi tutto è cambiato, perché certa politica ha fatto fuggire i medici dagli ospedali, cosa ha fatto perdere loro la passione, l’entusiasmo divorante, il ricordo dei validi motivi per cui, molti anni prima, hanno scelto quella professione e non un’altra? Cosa li spinge a essere indifferenti verso i pazienti, verso colleghi che dovranno svolgere il lavoro che per qualche futile motivo essi non hanno voluto portare a termine?».

Giunta ammette di non trovare la risposta ma gli utenti forse la troveranno quando si recheranno in ospedale e troveranno «solo medici pagati a cottimo, gente che quella notte è lì e la prossima chissà dove, a quante centinaia di chilometri di distanza. Quando non esisterà più un gruppo, un’équipe affiatata pronta a passare la notte in bianco per salvare una vita, una sola: quella di vostro marito, vostro padre, o vostro figlio».

E se qualcuno proverà a chiederne conto a certa politica, questa risponderà che non è sua responsabilità, che gli errori di programmazione, il numero chiuso a medicina, l’imbuto di ingresso nelle specialità, sono colpa di quelli di prima. Di quelli che hanno governato, male, prima.

Il suo pensiero finale va a «quella fantastica squadra di bravi medici (il collega di pronto soccorso, il radiologo, l’anestesista, il chirurgo, l’ortopedico, il neurologo, ecc.) ognuno dei quali si fidava ciecamente dell’altro. Ci rimpiangerete, certo. Come ci rimpiangiamo già noi stessi, ogni giorno, ogni santo giorno di lavoro, finché durerà ancora».

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