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Il presidente del Consiglio Mario Draghi 

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Fa davvero spavento constatare che in questo avvio della più pazza delle campagne elettorali l’agenda di politica economica del Paese non ce la ha nessuno e non c’è ancora chi la incarna. Un leader che ha un linguaggio non divisivo e il carisma per convincere che bisogna fare le riforme e aprire i cantieri. La campagna elettorale cala il suo copione della irrealtà e vorrebbe coprire tutto, ma la crisi morde come non mai e pretende un governo dell’economia. Per l’intensità e la gravità dei problemi che lo scenario internazionale post pandemico e post bellico riserva per il prossimo autunno serve un leader che sappia spiegare tutto ciò agli italiani e bisogna che gli italiani abbiano voglia di ascoltarlo. Ricordandosi che la partita internazionale, che è quella dove Draghi ha dato il meglio e l’Italia ha fatto per una volta bella figura, è più decisiva di quella interna. Perché le partite-chiave che sono quelle del caro materie prime energetiche e agricole e del caro tassi non si giocano in casa. Famiglie e imprese italiane ne pagano solo il conto

Primo scenario.  È partita la campagna elettorale estiva dei sogni dove è già in pieno svolgimento la gara delle parole che sono quelle del pacco regalo più bello e si litiga vistosamente su apparentamenti e leadership più o meno presunte in questa e quella coalizione. Secondo scenario. La convocazione per oggi del Consiglio dei ministri per quantificare i frutti della crescita realizzata in controtendenza mondiale dal governo Draghi che abbiamo appena buttato a mare e fare il nuovo decreto aiuti per sostenere il potere di acquisto delle famiglie (altri 12/14 miliardi) senza fare scostamento di bilancio, ma reinvestendo il maggior gettito derivante dalla crescita italiana che è un unicum europeo e di cui dolosamente nessuno parla. Lo conoscono le imprese, ne sono consapevoli tutti i soggetti economici italiani, ma il dibattito politico-mediatico oscura tutto e indebolisce quella fiducia collettiva delle famiglie che ne è stato il motore.

Il contrasto evidentissimo tra il primo e il secondo scenario che riguarda gli stessi giorni  del calendario di questa settimana rende come meglio non si potrebbe la delicatezza della situazione italiana del momento. La verità è che nonostante tutti i calcoli elettorali sbagliati e il fuoco ipocrita di parole che accompagna la politica estiva formato elezioni ci sono incombenti i problemi, ci sono le idee e manca il leader che coagula il consenso sulle cose da fare. C’è l’agenda, manca il titolare.

Fa davvero spavento constatare che in questo avvio della più pazza delle campagne elettorali l’agenda di politica economica del Paese non ce la ha nessuno e non c’è ancora un leader che la incarna. La campagna elettorale cala il suo copione della irrealtà e vorrebbe coprire tutto, ma la crisi morde come non mai e pretende un governo dell’economia che avviene coraggiosamente nel cosiddetto disbrigo degli affari correnti, ma che in realtà avviene nel pieno dei poteri che il senso di responsabilità e la competenza di chi lo gestisce permette di svolgere. Per capire la profondità e la gravità dell’atto commesso da chi ha affossato questo governo inseguendo presunte chimere da sondaggi elettorali, bisogna avere bene a mente la distanza che intercorre tra i due scenari e i rispettivi protagonisti.

Quello che, in prospettiva, a noi preoccupa davvero molto è che non c’è ancora un leader in grado di convincere la gente per linguaggio non divisivo e scelta netta di contenuti che in Italia bisogna fare le riforme, aprire i cantieri, che non solo non si può dire no al rigassificatore di Piombino ma occorre realizzare in tempi record  tutti quelli che servono, che la concorrenza è un valore, fa bene all’economia e fa bene ai nostri giovani di talento, che la parola sacrifici non può essere un tabù se sono ben redistribuiti e garantiscono il dividendo del futuro.

Di questi temi veri che obbligano il governo a convocare per oggi il consiglio dei ministri e a convocare per domani le parti sociali i partiti in campagna elettorale non parlano. Come non parlano della Ricostruzione nazionale e della Nuova Europa ad essa collegata che ruota intorno al debito comune europeo di Next Generation Eu e al Piano nazionale di ripresa e di resilienza italiano. Che ne è la declinazione fondamentale con il suo carico di 200 miliardi e una dote complessiva ben più larga mettendo insieme e finalmente coordinandole anche le altre risorse europee del fondo di coesione e sviluppo e dei fondi strutturali e quelle nazionali del Piano complementare di altri 30 miliardi.

Il festival delle dichiarazioni politiche che fanno male agli italiani è già partito e a farne di più sono quelli che hanno bisogno di più voti. Per questo si ripete il copione di sempre di Berlusconi, ritorna il solito modo di porsi di Salvini, mentre la Meloni che è più forte si contiene. C’è anche un riscontro inedito, sempre in questo schieramento di destra, che non va sottovalutato. La Lega è disponibile a trattare con Putin, la Meloni no perché indossa un vestito Atlantico e ci si trova dentro perfettamente a suo agio. Forse perché la Russia ai suoi occhi è la patria del comunismo, ma è un fatto importante questa sua posizione così come non è da sottovalutare che cosa decideranno tra di loro gli alleati su questo specifico punto.

Sul fronte opposto il tono sprezzante di Calenda nei confronti di Di Maio è l’esatto opposto di quello che serve per costruire un raggruppamento repubblicano allargato con spirito costituente che metta insieme il Pd di Letta e tutte le forze centriste, di natura liberale, sociale, laica e cattolica, dentro un disegno che è quello della unità nazionale e dell’esperienza del governo Draghi. Peccato davvero perché la lucidità dei contenuti proposti da Calenda e la chiarezza di scelta che correttamente richiede agli alleati sono la base costitutiva di un Paese che fa i conti con la storia e decide di cambiare.

Per l’intensità e la gravità dei problemi che lo scenario internazionale post pandemico e post bellico riserva per il prossimo autunno dove tutte le economie estere volgono al peggio e crollano all’unanimità gli indicatori soft sulle previsioni, sprecare il capitale di fiducia italiano che ha retto meglio di tutti appartiene alla categoria dei peccati non veniali. Serve un leader che sappia spiegare tutto ciò agli italiani e bisogna che gli italiani abbiano voglia di ascoltarlo. Ricordandosi che la partita internazionale, che è quella dove Draghi ha dato il meglio e l’Italia ha fatto per una volta bella figura, è più decisiva di quella interna. Perché le partite-chiave che sono quelle del caro materie prime energetiche e agricole e del caro tassi non si giocano in casa. Famiglie e imprese italiane ne pagano solo il conto.


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