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Nessuno può permettersi di rimetterci il Pnrr con la sua dote di circa 200 miliardi tra fondo perduto e prestiti a tassi risibili con l’inflazione all’8% e credere che le cose vadano avanti uguale in casa e fuori. Non è che l’inflazione con il suo carico di maxi bollette energetiche e agricole sparisce d’incanto. Non è che la guerra si ferma perché Salvini vuole ora, in questo momento, la Flat tax o perché Conte e la sua sparuta truppa di seguaci politici e la grancassa mediatica della catastrofe che li accompagna non sopportano più fisicamente Draghi. Non è che sparisce il tema dello spread dove al tavolo delle decisioni della Bce non potranno non constatare che l’Italia ha inopinatamente scialacquato il suo patrimonio di fiducia e di credibilità così faticosamente riconquistato
I partiti che vivono sulla terra devono capire una cosa prima di tutte. Che sono legati a doppio filo con Draghi e il tempo di giochi e giochini è finito. Non è che se fallisce Draghi, fallisce Draghi e basta. Fallisce l’Italia e, quindi, falliscono anche loro. Falliscono tutti. Chiariamoci fino in fondo. Se c’è qualcuno che pensa che non si perde niente, che si può distruggere senza colpo ferire perché nessuno ci rimette, questo qualcuno è fuori di testa e sbaglia di brutto. Nessuno può permettersi di rimetterci il Pnrr con la sua dote di circa 200 miliardi tra fondo perduto e prestiti a tassi risibili con l’inflazione all’8% e credere che le cose vadano avanti uguale in casa e fuori. Se perdiamo quella battaglia lì, noi italiani ci mettiamo trent’anni per recuperare anche se facessimo il governo delle persone migliori di questo mondo saremmo bruciati per altri trent’anni. Il Pnrr di oggi è come il prestito Marshall del dopoguerra che portò l’Italia al miracolo economico e la lira a vincere l’oscar mondiale delle monete.
Vogliamo essere ancora più espliciti e non abbiamo nessun bisogno di citare agenzie internazionali da cui dipende il rating dell’Italia, cancellerie internazionali, le attenzioni geopolitiche a livello globale che riguardano l’Italia proprio per la posizione di leadership che il suo premier attuale svolge all’interno dell’Europa e nell’azione di ridisegno del nuovo ordine mondiale. I partiti tutti, dai galli del pollaio del centrodestra che hanno ripreso a speculare su ogni cosa alla disintegrazione della cellula sopravvissuta dei Cinque stelle, devono rendersi conto che quando hanno vinto i primi ottenendo il voto e i secondi avendo tirato via dalla scena Draghi, in quello stesso preciso istante, sono falliti anche loro perché, lo ripetiamo, falliscono tutti.
Non è che da questo fallimento discende solo il fallimento di Draghi. Perché il giorno dopo sei costretto a scoprire che i soldi l’Europa non te li dà più, che il mondo dirà che i partiti italiani hanno mandato via l’unico che poteva fare qualcosa e che, quindi, se la sbrighino da soli. Il punto è che i partiti possono anche mandare a casa Draghi dimostrando con i fatti che ci aveva visto giusto, che il problema non era numerico ma politico e riguardava la volontà di fare o meno certe cose che ci si era impegnati a fare, ma non possono fare sparire d’incanto tutti i problemi perché sono tutti lì e tutti lì restano sul campo. Non è che l’inflazione con il suo carico di maxi bollette energetiche e agricole sparisce d’incanto. Non è che la guerra si ferma perché Salvini vuole ora, in questo momento, la Flat tax o perché Conte e la sua sparuta truppa di seguaci politici e la grancassa mediatica della catastrofe che li accompagna non sopportano più fisicamente Draghi.
Non è che sparisce il tema complicato della costruzione della Nuova Europa mentre piuttosto è molto probabile che perfino la discussione sul prezzo del tetto del gas venga fatta sparire dal tavolo e a noi italiani tocchino solo razionamenti ancora più duri sempre che Germania e Francia approfittando della nuova debolezza italiana non aggrediscano i risultati brillanti conseguiti da Draghi, l’Eni e la squadra di ministri nella diversificazione degli approvvigionamenti energetici.
Non è che sparisce il tema dello spread dove al tavolo delle decisioni della Bce non potranno non constatare che l’Italia ha inopinatamente scialacquato il suo patrimonio di fiducia e di credibilità così faticosamente riconquistato. Una robetta che darebbe forza ai tanti superfalchi del Nord per dire che tutelare la trasmissione della politica monetaria di lotta all’inflazione non significa pagare all”Italia anche il costo delle sue incomprensibili crisi politiche. Come dire: possiamo pagarvi l’anomala trasmissione della politica monetaria siccome c’è una sola moneta e tanti titoli sovrani, siccome avete i fondamentali a posto e state facendo bene allora è giusto che non vi facciate carico degli oneri in più. Viceversa se non di questo si tratta, ma di tutt’altro, il ragionamento sarà “non solo non vi diamo niente” ma faremo di tutto per sottrarci alla compartecipazione a questo casino tutto italiano. Per cui siamo al testa o croce, che tradotto vuol dire o Draghi o nuovo cigno nero italiano. Questa è la vera alternativa e chiunque racconta un’altra storia vive di fantasia e fa molto male sulla terra. Almeno rendiamocene conto e ascoltiamo l’animo profondo del Paese che ha parlato con una sola voce come non era mai avvenuto prima. Ha gridato: dateci stabilità, cari partiti, e non ci toccate Draghi. I tantissimi che hanno mandato questo duplice messaggio sono gli stessi che votano. Se i partiti non vogliono fare quello che devono fare per tutelare l’interesse generale che coincide con l’interesse italiano, lo facciano almeno per preservare le speranze di voto. Altrimenti avrebbero sorprese amare nell’urna e, soprattutto, si sarebbero nel frattempo giocati l’Italia. Troppo, davvero troppo. Noi vogliamo ancora sperare che i partiti lascino fare a Draghi le cose che si devono fare senza inventarsi ogni giorno una sceneggiata.
Perché se questa volta Draghi e i partiti vincono insieme, vince una nuova fase politica, perché è sconfitta l’era del populismo, che non sparirà del tutto in quanto è come il peccato nell’uomo, ma lo ridimensiona fortemente ed è proprio il segnale che i mercati desiderano e ciò che rilancia ancora di più il ruolo dell’Italia in Europa. Questa è la sfida di oggi che riguarda il Pnrr e anche tutto quello che ad esso è collegato. È interesse di tutti a partire dal Mezzogiorno e dal Mediterraneo dove Draghi ha capito prima degli altri che bisognava andare e ci è andato. L’Italia tutta se ne avvantaggerà.
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