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Siamo arrivati ai guasti terminali del mito della democrazia diretta che può funzionare sui territori amministrati da un potere monocratico come è quello dei sindaci, ma può condurre alla paralisi il potere esecutivo e legislativo di un Paese diseguale e complesso come l’Italia. La nuova legge elettorale e una scelta proporzionale che garantiscano omogeneità futura nell’azione di governo e ci facciano uscire dal circolo perverso dei nominati, possono essere l’unico cemento politico che consenta di portare a termine la legislatura. Riuscendo, da un lato, a non bloccare il miracolo della fiducia ritrovata e a rispettare i target europei e, dall’altro, mettendo le basi per aprire finalmente i cantieri. Per dare al Paese quelle decine di miliardi di spesa pubblica produttiva che frange del no e coalizioni farlocche sistematicamente bloccano

Non avrei mai creduto di convincermi che la stabilità di un Paese come l’Italia che vive una stagione di rinascita economica dentro una tempesta perfetta dove si incrociano le nubi della pandemia eterna e della guerra lunga potesse dipendere da una nuova legge elettorale e dal ritorno al proporzionale.

Siamo arrivati ai guasti terminali del mito della democrazia diretta che può funzionare sui territori amministrati da un potere monocratico come è quello dei sindaci, ma può condurre alla paralisi il potere esecutivo e legislativo di un Paese diseguale e complesso come l’Italia.

Coalizioni farlocche dove si è divisi perfino sui valori fondanti dell’europeismo fiscale, di politica estera e di sicurezza, a volte addirittura della moneta, o dove si pretende di fare convivere la cultura del no a tutto e dell’elemosina a tutti con il pragmatismo del fare alla velocità della luce sulla energia vecchia e nuova e sulla ricucitura infrastrutturale e di capitale umano delle due Italie, sono oggettivamente incompatibili con il processo riformatore in atto dell’agenda Mattarella- Draghi che ha restituito credibilità internazionale all’Italia e fiducia nel futuro di tutti i suoi soggetti economici che non vanno confusi con le rappresentanze sindacali e le lobby organizzate in corporazioni.

Noi siamo il Paese dove il Tar di Bari può bloccare i lavori del nodo ferroviario per un esposto di un comitato locale che parla di un vincolo architettonico che il ministero dei Beni culturali ha definito infondato. Siamo il Paese dove una forza politica di maggioranza non vuole il termovalorizzatore a Roma dove l’emergenza rifiuti rischia di ridurre la Capitale d’Italia al rango di una città mediorientale. Siamo il Paese delle minoranze organizzate dove a Trento, estremo Nord, quasi Germania, un altro comitato elettorale può fare indire un referendum consultivo senza quorum per chiedere ai cittadini di dire no al nuovo aeroporto. Capite che siamo in mano a piccole frange organizzate che bloccano tutto o a movimenti politici che vivono una triste stagione di dissoluzione interna e rischiano di fare pagare al Paese un prezzo gigantesco bloccando il processo riformatore in corso e l’uscita produttiva da un ciclo ventennale di crescita zero.

Due risultati oggettivi che hanno restituito al Paese la credibilità internazionale perduta e rappresentano l’unica possibilità concreta di conseguire livelli di crescita tali da ridurre le diseguaglianze e accorciare le distanze di reddito e di occupazione tra le due Italie. In un contesto internazionale dove la guerra di Putin all’Ucraina ha prodotto un conflitto di civiltà tra mondo autocratico e democrazie occidentali e porterà, quindi, a ridisegnare un nuovo ordine mondiale.

Questa Italia che è ritornata a pieno titolo tra i Fondatori dell’Europa e ha conquistato con Draghi la leadership politica della Nuova Europa ha bisogno di essere governata da maggioranze coese dove ci si mette insieme per fare le cose, non per inscenare il penoso teatrino quotidiano su questa o quella questione minore. Per questo il tema della nuova legge elettorale e di una scelta proporzionale che ci faccia uscire dal circolo perverso dei nominati può essere l’unico cemento politico che consenta di portare a termine la legislatura. Riuscendo, da un lato, a non bloccare il miracolo della fiducia ritrovata e a rispettare i target europei e, dall’altro, aprendo finalmente i cantieri.

Per dare al Paese quelle decine di miliardi di spesa pubblica produttiva di cui ha vitale bisogno e porre premesse solide perché questo cammino intrapreso prosegua sostenuto da forze politiche più omogenee. Se Conte si rende conto che non ha alternative ad assumere una posizione mediana che non porti alla rottura evitando di finire logorato lui dall’anima della immaturità demagogica di Di Battista e dalle fuoriuscite dimaiane mosse da un necessario senso di responsabilità, avrà gioco facile a rendersi conto che il proporzionale aiuta la sua navigazione. Se la Lega di Salvini capisse che dentro il suo partito la spinta in questa direzione è forte e ragionata e ne tutela una leadership consapevole, altrimenti fagocitata dal sovranismo con piglio risoluto della Meloni, allora da adesso a settembre si decide di cambiare la legge elettorale e scatta l’effetto a valanga che può formare e ingrossare l’onda lunga del proporzionale.

A quel punto, succede tutto quello che deve succedere e l’agenda Mattarella-Draghi è salva. Soprattutto è salvo il Paese che da economia fanalino di coda è diventata locomotiva d’Europa e fa fatica a riconoscerlo e a crederci. Lo hanno capito fuori, facciamo fatica a capirlo in casa.


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