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Il porto di Gioia Tauro

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GIOIA TAURO – Il porto di Gioia Tauro nell’anno 2021, che incide per il 97,49% (13.364,94 kg), è stato quello in cui è stata sequestrata la maggiore quantità di cocaina, seguito da quello di Vado Ligure (SV) (138,29 kg) e di Livorno (118,53 kg). Lo afferma la relazione annuale della Direzione centrale per i servizi anti-droga del dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno.

Un primato che preoccupa e che è, secondo, fonti interne alle forze dell’ordine destinato ad aumentare, perché è in relazione al numero dei container movimentati che sono in crescita. I dati sulla leadership dello scalo gioiese sono inequivocabili se paragonati ai dati dei sequestri effettuati in Italia dove nel 2020 sono state sequestrate complessivamente 13,5 tonnellate di cocaina e nel 2021 i sequestri sono saliti a ben 20,75 tonnellate e di questi ben 13,698 tonnellate sono state sequestrate a Gioia Tauro con un incremento dell’87%.

Per l’anno in corso i numeri dei sequestri lieviteranno ancor di più, visto che solo nei mesi di maggio e giugno i sequestri, seppur non ancora resi noti, secondo fonti del Ministero dell’Interno, arriverebbero a ben 4 tonnellate. La Calabria, si pone al primo posto in Italia per sequestri di cocaina nonostante è fatto nel territorio regionale appena il 3,22 % delle operazioni antidroga effettuate in tutto in Italia. Un dato che aumenta ad una percentuale del 18,44% di tutte le sostanze stupefacenti individuate nel nostro paese. Chiaro che lo scalo portuale è il luogo dove lo scontro diventa più duro e dove si registrano i risultati più alti.

A tutto questo si aggiunge il fatto che la ‘ndrangheta è oggi, in Italia, “l’organizzazione mafiosa caratterizzata da una maggior espansività a livello nazionale e internazionale, nonché la più influente nel traffico della cocaina proveniente dal Sud America e dalle principali aree di stoccaggio temporaneo presenti in Europa”. Le indagini effettuate dimostrano come anche per il 2021, “la compatta e duratura presenza delle ‘ndrine al di fuori del territorio calabrese e la loro elevata capacità criminale, anche nel reimpiego dei capitali provenienti dal narcotraffico, attraverso sofisticate operazioni di riciclaggio.

La disponibilità di ingenti capitali di provenienza illecita ed una spiccata capacità di intessere relazioni con parti della società civile hanno permesso alla ‘ndrangheta, nel tempo, di diversificare i propri interessi, con un'”infiltrazione” in contesti sociali ed imprenditoriali. Il suo controllo capillare del territorio, le ha permesso, inoltre, di mantenere una posizione di assoluto rilievo nel traffico delle sostanze stupefacenti a livello mondiale”.

La relazione della direzione centrale antidroga riporta anche una sorta di paradosso sul modo di operare della ‘ndrangheta calabrese: “Fino all’inizio degli anni duemila, nelle indagini riguardanti la ‘ndrangheta – si legge nella relazione annuale – era necessario raccogliere una pluralità di elementi per dimostrare l’esistenza dell’associazione mafiosa fuori dalla regione di origine; attualmente, come attestato da numerosi pronunciamenti giurisprudenziali, è possibile sostenere che, fuori dalla Calabria, ad esempio in regioni come la Lombardia, l’operatività dei sodalizi criminali deve ritenersi giudiziariamente accertata”.

Nel novembre scorso, l’operazione denominata “Nuova Narcos Europea”, coordinata da tre procure distrettuali antimafia, quelle di Milano, Firenze e Reggio Calabria, conclusa dalle Squadre Mobili della Polizia di Stato dei rispettivi capoluoghi, ha messo in luce, come le cosche siano a pieno titolo inserite anche nel traffico di cocaina proveniente dal Sud America, con le proprie ramificazioni attive in Lombardia, Toscana e Svizzera.

Dalle pagine del provvedimento di Fermo di Indiziato di Delitto della Dda di Milano emerge uno spaccato che abbraccia non solo il narcotraffico, ma anche le tradizionali attività predatorie come le estorsioni, strumento di controllo del territorio e di infiltrazione dei settori economico-imprenditoriali leciti. E c’è un’inchiesta che ha consentito di acclarare il legame storico tra la locale ‘ndrangheta di Fino Mornasco, in provincia di Como con famiglie dei territori calabresi di origine e con ramificazioni di queste in Svizzera, ove “…promuove e coordina il traffico di cocaina sull’asse italo-svizzero […], dirigendo altresì la composizione delle conflittualità tra gli associati o con terzi, anche appartenenti a cosche differenti…”.

Droga a fiumi, ma anche armi provenienti dalla Svizzera, armi date a titolo di pagamento per la cocaina che la cosca riceveva dal paese elvetico. “La ‘ndrangheta ha assunto un ruolo di prim’ordine con molteplici interessi illeciti, ponendosi tra i principali player nel traffico mondiale di sostanze stupefacenti, per via della significativa presenza di affiliati nelle zone di produzione, con basi logistiche ed operative in numerosi Paesi europei e sudamericani”.

I maggiori sequestri di cocaina, registrati negli scorsi anni nei porti di Genova e Livorno, oltre che in quello di Gioia Tauro, indicano che le organizzazioni criminali, dopo aver ritenuto per anni il porto calabrese la porta preferita per l’ingresso della cocaina dal Sud America, hanno anche diversificato le importazioni anche su altri porti.

Sono proprio i porti italiani a essere oggetto di attenzione da parte delle cosche, per l’esfiltrazione di carichi di cocaina occultati nei container giunti negli scali. Le associazioni criminali, grazie alla loro tentacolare azione operativa, possono contare su supporti logistici anche in contesti territorialmente lontani da Gioia Tauro. È stato acclarato, nel corso dell’attività investigativa, lo stabile ausilio fornito da alcuni operatori portuali di Livorno per la fuoriuscita di ingenti quantità di sostanza stupefacente stivata all’interno dei container arrivati nello scalo toscano.

Dall’attività d’indagine, è emerso che, nella gestione del narcotraffico, le organizzazioni criminali erano in collegamento con una cellula radicata in Spagna, a Barcellona, nonché con cittadini boliviani e colombiani fatti giungere, sempre dalla Spagna, con il compito di allestire, a Gioia Tauro, un laboratorio per la raffinazione, la preparazione e il confezionamento di panetti di cocaina. I contatti tra le diverse cellule criminali tendono anche ad ampliare e diversificare gli scenari di investimento illecito, avanzando ipotesi di importazioni di stupefacente dal Brasile, tramite corrieri muniti di passaporto Ue e servendosi di sistemi di occultamento, più o meno sofisticati, non rilevabili dagli scanner.

Lo scenario descritto è quello della “joint venture della droga”, storicamente non nuovo nel mondo dei trafficanti di stupefacenti, nel quale organizzazioni criminali diverse si consorziano in nome del comune business illegale, e dove sempre più spesso si registra l’impiego di broker in tutti i principali snodi del traffico, non necessariamente sodali alle organizzazioni, ma funzionali alle stesse, capaci di mantenere rapporti privilegiati con i principali gruppi di fornitori dello stupefacente in Sud America e con gli emissari di questi ultimi in Europa.

Con l’indagine Faust conclusa dai carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, nel gennaio 2021, con l’esecuzione di un ordine di custodia cautelare in carcere nei confronti di 49 persone, è stata fatta luce sull’operatività di una cosca, operante sul territorio di Rosarno. Quelle indagini portarono al rinvenimento e al sequestro di quasi 500 kg di cocaina in due container al porto di Livorno. Non solo l’Italia e gli scali nazionali quelli attenzionati ed in parte controllate dalle famiglia calabresi ma anche porti del territorio tedesco in particolare ed europeo in genere, per la commercializzazione di ingenti partite di stupefacenti come in Olanda, in Belgio, in Spagna e a Malta.

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