X
<
>

Elsa Tavella con una foto del figlio Francesco Vangeli

Share
3 minuti per la lettura

VIBO VALENTIA – Completamente soddisfatta non è, non può esserlo. Perché se da un lato è vero che ha tenuto l’accusa di omicidio, soppressione di cadavere e dell’incendio dell’auto – che confermano sul punto la penale responsabilità dell’imputato – dall’altro è stato acclarato il mancato riconoscimento delle aggravanti del metodo mafioso e della premeditazione a carico di Antonio Prostamo, condannato ieri a 30 anni di reclusione.

Elsa Tavella, madre “coraggio” di Francesco Vangeli ha atteso ieri sera in aula, in Corte d’Assise, a Catanzaro, il pronunciamento della sentenza. Accanto a lei i familiari più stretti che dal quel maledetto 9 ottobre sono entrati in un incubo, in un vortice emozionale in cui convivono rabbia, tristezza, dolore, angoscia e speranza. Quella speranza di rivedere almeno il corpo del suo amato figlio.

«Non posso essere totalmente contenta – commenta a caldo la donna – in quanto volevo che si pronunciasse la sentenza dell’ergastolo in quanto non ci sono dubbi che siano stati loro (i fratelli Prostamo, ndr) ad uccidere e occultare il corpo e questo adesso è acclarato da un secondo pronunciamento di un giudice».

«Tuttavia, nel complesso, può andare bene così» anche se «non è facile affrontare tutto questo – aggiunge – Non è facile stare in un aula di tribunale vedere le persone che hanno fatto del male a tuo figlio ma, vuoi non vuoi, devi affrontarlo; ho fiducia nella giustizia e spero che pian piano ognuno abbia ciò che si merita. Certo, nessuna condanna mi riporta Francesco a casa nessuna e non auguro ad alcuno di salire quelle scale di tribunale, avere il cuore che batte forte, stare ore ed ore ad aspettare una sentenza che sembra non arrivare mai e poi, quando capisci che hai perso un figlio, e nessuno pagherà per quello che hanno fatto, è proprio lì che ti cade il mondo addosso».

Le parole della Tavella si fanno poi più intense: «Uccidere un ragazzo per motivi abbietti non lo accetto e mio figlio aveva il sacro santo diritto di vivere, aveva una vita davanti. Dove è scritto che una madre debba perdere il proprio figlio per una ragazza? Dove è scritto che una madre deve vivere ed essere consapevole che non vedrà più quelli occhi belli e quel viso sorridente del proprio ragazzo? Sinceramente penso che l’ergastolo l’abbiano dato loro a me e alla mia famiglia. Confido nella giustizia tirrena ma soprattutto divina perché il male fatto si paga».

Per la Tavella, in ordine proprio alla sparizione del cadavere, la «pista da continuare a seguire è quella che porta al Fiume Mesima», ossia in piena aderenza con le risultanze investigative. In tutti questi anni, la donna, non si è mai data per vinta e tanti sono stati i suoi appelli per proseguire le ricerche finalizzate al ritrovamento del corpo.

Altri accorati e reiterati appelli sono stati poi rivolti agli imputati e a persone che potrebbero essere a conoscenza dell’accaduto: «Ridatemi ciò che è mio», è la frase che Elsa Tavella pronuncia, quasi come un mantra, nelle varie occasioni, siano esse interviste giornalistiche, convegni e, ovviamente, in occasione delle date che hanno segnato la vita del figlio.

Share
Fabio Grandinetti

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE