Sabino Cassese
3 minuti per la letturaProfessore Sabino Cassese, sono scesi nell’agone persino i sondaggisti, ma non cambia l’opinione degli italiani sui referendum: la maggioranza segue l’esempio di Craxi quando nel 1999 consigliò di andare al mare, non portò fortuna quel consiglio.
«L’esercizio del voto, secondo l’articolo 48 della Costituzione, è un dovere civico. Chi non vota, viola tale dovere».
Sono 5 schede di 5 colori. E una polemica che si trascina da giorni e vede protagonista tutto il centrodestra, a partire dalla Lega che un anno fa ha sposato la causa dei Radicali ed ha sottoscritto 6 referendum sulla giustizia. La Consulta a metà febbraio non ha ammesso quello sulla responsabilità civile dei giudici. Così come ha bocciato quelli su eutanasia e Cannabis. Ma ora la polemica è sulle parole di Giorgia Meloni che ha definito cappa di silenzio precipitata sui referendum per far abbassare il quorum.
«Si è discusso poco dei referendum, ma ora quotidiani, radio e televisione stanno dedicando maggiore spazio al tema».
Anche Matteo Salvini ha parlato di censura e bavaglio accusando la sinistra di nascondere il referendum con l’obiettivo di avere magistrati politicizzati con cui la sinistra prova a vincere se perde le elezioni.
«Piuttosto che stare dietro a tutte queste posizioni relative al referendum bisogna guardare la realtà dei fatti. Questa consultazione referendaria può servire come sollecitazione al Parlamento perché provveda alla riforma della giustizia, che è oggi necessaria. Al di là dei singoli quesiti, dai risultati del referendum può venire uno stimolo al Parlamento perché completi l’approvazione della riforma Cartabia e continui per quella strada in una direzione che è ormai chiara: giudizi che si chiudono più sollecitamente; procure che non esondano considerando colpevoli gli indagati; smaltimento dell’enorme arretrato; autentica indipendenza della magistratura; ritorno nell’ordine giudiziario di tutti i magistrati impegnati oggi in comuni, regioni, Parlamento, ministeri, gabinetti ministeriali».
È un fatto che i sondaggi danno scarse chances ai referendum di superare il 50% dei votanti, è un fatto anche che l’oggetto del referendum è assai tecnico. Non è come non invitare alla partecipazione?
«I quesiti referendari sono necessariamente tecnici perché debbono riferirsi con precisione a singole norme da abrogare. Lo sono stati tutti i quesiti referendari finora presentati».
Con la riforma Cartabia vengono affrontati più temi presenti nei quesiti del referendum. Come si differenziano i quesiti del referendum da quelli della riforma del Guardasigilli.
«Questo sarà un compito per il Parlamento, che dovrà essere stimolato dal risultato referendario, anche qualora non raggiunga il quorum, perché un alto numero di partecipanti e un notevole numero di “sì” dovranno essere interpretati dalla classe parlamentare come un invito a procedere speditamente ad una buona riforma della giustizia che, prima ancora che un’esigenza istituzionale, è un’esigenza sociale, dell’intera collettività».
Il primo quesito punta a cancellare la legge Severino. Se vince il sì, viene abrogata la norma tutta intera sulla decadenza dal ruolo parlamentare. Chi vota sì vuole che le persone condannate per reati non colposi tornino a ricoprire o mantenere cariche politiche.
«La circostanza che la formulazione dei quesiti sia fatta male, non esclude che una partecipazione al voto indichi l’esigenza di affrontare il problema in sede parlamentare. Per quanto riguarda il primo quesito, l’elemento importante è costituito dal fatto che riguarda anche quei titolari di cariche pubbliche che, condannati in primo grado, sono stati assolti in secondo grado, e quindi fa discendere una conseguenza negativa da un comportamento ritenuto legittimo dalla giustizia. Tanto più che i giudici stessi potrebbero irrogare pene accessorie, senza ricorrere ad automatismi, come previsto dalla legge del 2012 che si vuole abrogare».
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