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Giuseppe Pagliani

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CUTRO – Viene meno la tesi del patto tra la ‘ndrangheta cutrese e la politica emiliana? Sembrerebbe di sì, stando all’assoluzione, confermata in Corte di Cassazione, dell’ex consigliere del Comune di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani (FI). Un’assoluzione che pesa. I supremi giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale. E il verdetto mina alla radice il teorema accusatorio dell’accordo politico-mafioso.

Dopo l’annullamento con rinvio della condanna a quattro anni di reclusione per Pagliani, che era stato assolto in primo grado dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, nel processo d’appello bis – filone del rito abbreviato – scaturito dall’inchiesta che nell’ottobre 2015 portò alla maxi operazione Aemilia, contro la cellula emiliana del “locale” di ‘ndrangheta di Cutro, il politico emiliano era stato ri-assolto. E la Cassazione ha confermato la sentenza, che ora diviene definitiva.

Gli ermellini hanno, invece, in accoglimento del ricorso difensivo dell’avvocato Luigi Colacino, annullato la sentenza di condanna a 4 anni per l’imprenditore cutrese Michele Colacino. È uno stralcio del troncone processuale ormai approdato a condanne definitive per una quarantina di imputati, quello in cui la pena più alta, a 15 anni, la beccò Nicolino Sarcone, capo della cellula emiliana.

In quel troncone era stato condannato a 6 anni e 6 mesi il super boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, che in questo procedimento non rispondeva però di associazione mafiosa, accusa per cui è stato condannato in via definitiva nel parallelo processo Kyterion all’ergastolo (in quanto rispondeva anche dell’omicidio di Antonio Dragone).

Ma è l’assoluzione di Pagliani il dato più significativo. Pagliani, difeso dagli avvocati Alessandro Sivelli e Roberto Borgogno, fu assolto in primo grado dal gup e fu poi condannato a 4 anni dalla Corte di appello. Ma la Cassazione annullò con rinvio, disponendo che il processo era da rifare risentendo alcuni testimoni e così si era arrivati a una nuova pronuncia di assoluzione, quella che ora passa in giudicato.

Insieme a Giovanni Paolo Bernini, ex assessore Pdl di Parma, Pagliani era uno dei due politici coinvolti nell’operazione Aemilia. Bernini, inizialmente anche lui accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e poi di voto di scambio politico-mafioso, è stato poi definitivamente prosciolto con la dichiarazione di prescrizione del reato di corruzione elettorale semplice.

Ma è come se ci fossero due scuole di pensiero. Nel maggio scorso si era concluso con una sostanziale conferma del verdetto di secondo, ovvero circa sette secoli di pena inflitti, il filone processuale del rito ordinario: la Cassazione sanciva definitivamente l’operatività della filiale emiliana della super cosca di Cutro ma tra i condannati c’erano anche coloro che presero parte alla famosa cena con Pagliani in cui sarebbe stata decisa la strategia mediatica del clan.

Tra loro l’imprenditore Giuseppe Iaquinta, il padre di Vincenzo, campione del mondo di Germania 2006, condannato in via definitiva a 13 anni. Il politico, però, non c’entrava nulla, secondo quanto stabilito dalla Cassazione.

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