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LA didascalia pop in lettere giapponesi che siglava le puntate degli anime degli anni Ottanta conclude “Bang Bang Baby”, serie Amazon di Andrea Di Stefano ispirata alla vera storia della principessa di ‘ndrangheta Marisa Merico. E gli ex ragazzi della Generazione X sanno che quegli ideogrammi significano “continua”, ammiccando a un probabile sequel. Mentre un’Alice-Arianna Becheroni in versione animata (deliziosa citazione di “Kill Bill”) prende commiato dai telespettatori, il finale lascia molte domande aperte sul destino dei personaggi.

Al momento sappiamo che il bene ha trionfato sul male e anche se i Barone e i Ferraù sono simpaticissimi, va bene lo humour nero ma si tratta pur sempre di criminali, quindi, almeno nella fiction, a vincere devono essere i buoni. Un altro parallelismo con Tarantino, stavolta quello di “C’era una volta a Hollywood”: anche qui la realtà storica (nel film la strage di Cielo Drive) è scardinata da un epilogo alternativo e giustizialista, quello che tutti vorremmo accadesse quando ci sono prepotenti, psicopatici e assassini, ovvero che fossero loro e non le vittime a fare una brutta fine. Lo spiega la stessa voce narrante di Alice nell’ultima puntata, quando dopo una scena madre al cardiopalma, sussurra che forse le fiabe qualche volta si avverano.

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La vera Marisa Merico ci ha messo un po’ di più a capirlo, ma prima di parlare di happy ending conviene attendere eventuali nuove avventure di Alice, papà Santo (Adriano Giannini), mamma Gabriella (Lucia Mascino) e soprattutto nonna Lina (Dora Romano) e i mitici cugini Ferraù (Antonio Gerardi e la bravissima crotonese Giorgia Arena).

Lo abbiamo già detto: questa serie è un unicuum nella proposta italiana di questo genere, un prodotto sicuramente costruito a tavolino cucendo insieme (e pure copiandoli qua e là, perché no) elementi di sicuro richiamo popolare, ma da premiare perché non banale né sciatto. Merito dell’atmosfera vintage disseminata di riferimenti iconici (la Big Babol, i Sofficini e gli Smarties, la famiglia Bradford, Hulk, Madonna e Loredana Berté), l’alternanza tra dramma, action ed evocazioni oniriche, e pure del perfetto brano ad hoc di Madame “L’eccezione”, già fortissimo in radio. Ciliegina sulla torta la suspence creata dal “mistero” sullo slittamento del secondo blocco di puntate, che ha accresciuto la curiosità del pubblico (e probabilmente anche gli abbonamenti a Prime).

La Calabria qui non è ambientazione di cui vantarsi, purtroppo, ma gli agghiaccianti riti di affiliazione e gli efferati delitti della ‘ndrangheta nessuno li scopre ora. Il libro “L’intoccabile” di Merico è tosto e non lesina dettagli su voraci maiali domestici, battesimi di sangue e spietate condanne a morte decise nei raduni del santuario aspromontano di Polsi. Ma se le famigghie calabresi sono allergiche alle regole (“noi siamo il caos”, dice un leggendario Nereo), c’è chi si ribella e inizia a spezzare le catene.

LE DONNE IN BANG BANG BABY

Perno di libertà e rinascita in “Bang Bang Baby” sono le donne. Terribili come Lina, che ambisce ad essere la prima femmina al tavolo dei santisti ma tiene fede al lutto coniugale (salvo covare un lungo desiderio, ricambiato, per il cognato); forti e indipendenti come Gabriella con la sua lotta operaia; coraggiose a sangue freddo e pronte a tutto, come la giovane Alice, bulimica e affamata d’amore. Le donne hanno poteri magici, sono imbattibili Charlie’s Angels chiamate a risolvere i casini dei maschi: dove gli uomini combattono odiose faide per il potere, le donne curano, riparano salvano. E sono anche furbissime, capaci di orchestrare piani machiavellici che buggerano poliziotti e delinquenti.

“Bang Bang Baby” è anche una serie molto lgbt, tra Jimbo (Pietro Paschini, attore e ballerino di identità fluida), che si autodefinisce figlio di Veronica Ciccone, Nereo che emula George Michael e s’innamora della trans Belfiore e pure un fugace bacio saffico di Assunta. Sullo sfondo la Milano dove negli anni Ottanta si radunavano i primi cortei antenati dei Pride e le femministe scendevano in piazza.

Invece nel cuore dell’Aspromonte omosessualità e lesbismo ovviamente erano ancora scandalose malattie, ma qualcuno insegnerà ai boss che il fuoco della passione, qualunque ne sia l’oggetto, è più forte di quello delle lupare.

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