Don Edoardo Scordio
5 minuti per la letturaISOLA CAPO RIZZUTO (CROTONE) – Senza soldi non se ne cantano messe, ma lui avrebbe consentito perfino di costruire le case ai nipoti grazie al business dei migranti. Da una parte, l’ex parroco di Isola Capo Rizzuto don Edoardo Scordio «aveva il compito di gestire di fatto, tramite la confraternita Misericordia, il Centro d’accoglienza sotto le direttive della cosca Arena nei confronti della quale venivano fatti confluire somme di denaro che il Centro riceveva per l’esecuzione degli appalti per l’assistenza dei migranti». Dall’altra, «la confraternita, grazie all’asservimento di Scordio alla cosca Arena, assegnava subappalti a intranei alla cosca (Antonio e Fernando Poerio e Angelo Muraca hanno ottenuto il subappalto per la somministrazione dei pasti ai rifugiati)».
Una situazione di cui avrebbero beneficiato i nipoti dell’ex sacerdote, Edoardo e Domenico, che avrebbero acquistato materiale edilizio per le loro abitazioni addebitando le spese alla Misericordia. Con la Edan Servizi i nipoti dell’ex parroco avrebbero peraltro ottenuto un subappalto per amministrare il centro culturale Rosmini gestito di fatto da don Scordio.
Per questo il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Crotone ha sequestrato un patrimonio da 1,5 milioni di euro all’ex parroco (LEGGI LA NOTIZIA), condannato in primo grado a 14 anni e 6 mesi di reclusione per associazione mafiosa e malversazione ai danni dello Stato, pena rideterminata in Appello a 8 anni e 8 mesi, nell’ambito del processo col rito ordinario scaturito dall’inchiesta che nel maggio 2017 portò all’operazione interforze Jonny, con cui la Dda di Catanzaro avrebbe fatto luce, tra l’altro, sui tentacoli della cosca Arena, tra le più potenti della ‘ndrangheta, sul Centro d’accoglienza S. Anna, tra le strutture per migranti più grandi d’Europa. Il troncone processuale svoltosi col rito abbreviato, per il quale optò il grosso degli imputati, si concluse in primo grado con condanne per 640 anni, sostanzialmente confermate in Appello.
I sigilli, su disposizione della Sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Catanzaro che ha accolto la richiesta del procuratore distrettuale Nicola Gratteri e dei suoi sostituti Domenico Guarascio e Pasquale Mandolfino, sono stati apposti su 3 fabbricati e una villa di pregio; un autoveicolo; sulla partecipazione totalitaria in una società di affittacamere; su rapporti bancari intestati e riconducibili agli indagati.
L’indagine patrimoniale è scattata per la sperequazione economica tra redditi dichiarati e tenore di vita, ma per i giudici che condannarono l’ex parroco, oggi 75enne, non era solo questione di soldi. «Non tanto e non solo il denaro, quanto il prestigio di potere dominare politicamente una comunità: dare da mangiare a poveri e a ricchi, agli extracomunitari e agli intracomunitari, gente del luogo a cui assegnare un lavoro; sopravvivere in una realtà complicata (quella di Isola Capo Rizzuto) da protagonista e non da vittima». Attualmente agli arresti domiciliari, dopo cinque mesi trascorsi nel carcere di Vibo Valentia, ma a Stresa, in provincia di Verbania, presso il Centro di studi internazionali intitolato ad Antonio Rosmini, il grande filosofo e teologo venerato dal 2007 come beato dalla Chiesa cattolica, l’ex parroco è stato ritenuto ideatore del sistema attraverso cui la cosca Arena avrebbe lucrato sul business dei migranti.
Il «gruppo economico» di cui faceva parte, con sbilanciamento, in termini di rapporti di forza, in favore di Leonardo Sacco, ex governatore della Misericordia di Isola – che nel filone del rito abbreviato si è beccato 20 anni in Appello – ma anche socio occulto e amministratore di fatto della società Quadrifoglio, principale azienda di catering servente il Cara, avrebbe, infatti, realizzato un vero e proprio affare sulla pelle dei profughi: le somme per la loro assistenza sarebbero state distratte per oltre un decennio. Scordio, che pure non rivestiva formale incarico nella confraternita di cui era correttore spirituale, né nelle imprese che avevano ricevuto in subappalto dalla Misericordia la somministrazione dei pasti ai migranti, avrebbe ricevuto, nel corso degli anni, rilevanti somme di denaro senza apparente motivazione ovvero con indicazione di causale del tutto estranea alle finalità di originaria destinazione da parte della Prefettura di Crotone.
Scordio è stato incastrato da dichiarazioni convergenti di tre collaboratori di giustizia (Oliverio, Giglio, Mirarchi), che disegnano un quadro preciso della dinamica criminale gravitante attorno all’affare Misericordia. Il riscontro sarebbe offerto da una serie di intercettazioni, una fra tutte la conversazione fra i cugini Poerio, coimputati dell’ex parroco e imprenditori del catering, e l’ex sindaco Gianluca Bruno a proposito della «incapacità» di Scordio di gestire gli affari della Misericordia, «il cui denaro è sperperato a vantaggio di interessi egoistici». Il Tribunale non ritenne convincente la giustificazione resa dall’imputato in merito al «contegno tenuto quando sugli affari della Misericordia calarono le tenebre dell’Antimafia». «Da chi ottenne rassicurazioni? – si chiedono i giudici – Dalla Misericordia stessa? Perché davanti ad un fenomeno da lui così osteggiato quale la mafia non ha profuso energie per avere informazioni imparziali, per il tramite della Prefettura? Come poi ci si poteva accontentare di una successione societaria solo formale? Che giustificazione ha quella movimentazione di denaro tra la Miser e la Misericordia e la stessa parrocchia? Quali attività di catechesi dovevano svolgersi nei confronti del personale addetto alla gestione di extracomunitari a grande maggioranza non cristiana, noti per la chiusura e l’ortodossia della dottrina? Cosa sarebbero queste prestazioni di correzione spirituale che giustificano le note di debito? Domande senza risposta razionale – prosegue il Tribunale – strada che porta nella sola direzione del delitto contro il patrimonio dello Stato, con consapevolezza dei metodi (mafiosi) e degli obiettivi (illeciti)».
L’immagine del prete antimafia, poi, «sposa la tesi dei collaboratori: del prete non deve parlarsi, il prete non va coinvolto perché è una risorsa». Anche il profilo della regolarità dei conti era «irrilevante», per il Tribunale, poiché oltre alla «palesemente anomala» natura della prestazioni giustificatrici gli spostamenti di ricchezza in «canali non ufficiali» sono avvenuti «attraverso le rimesse degli e agli altri enti, tutti esecutori di un pactum sceleris in collegamento, parti di un grande gruppo imprenditoriale illecito».
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