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Chi governa si rende conto che il sistema non funziona. C’è chi pensa solo a tenere il potere e chi invece vuole cambiare. Chi vuole cambiare imposta il cambiamento, ma in pratica non te lo fanno fare perché c’è un sistema di tribù e di corporazioni che controllano tutti i colli di bottiglia che bloccano il Paese. Questo sistema ha i suoi feudatari o mandarini di riferimento, fate voi, che agiscono nell’ombra, non sai nemmeno come si chiamano, tirano le file da dietro le quinte, ma controllano tutti i corpi dello Stato o per lo meno hanno la loro rete o comunque sanno farsi sentire. È una specie di oligarchia molto più complessa di quella russa. Stanno dappertutto. Perché feudatari e mandarini di Stato, Regioni e Comuni sanno che se il governo Draghi riesce a smantellare la feudalità delle corporazioni che è il problema storico delle riforme in Italia, loro sono finiti. Perché in Italia, questa è la regola principe del nostro declino, si deve sempre dire che le riforme si fanno, ma non si fanno

C’è un problema reale di un coacervo variegato di soggetti, a volte molto distanti tra di loro, che sta lavorando alle spalle di Draghi che a nostro avviso non ce la farà a raggiungere il suo scopo, ma di cui si parla troppo poco perché questo silenzio non aiuta a capire la posta in gioco e il rischio reale a cui bizzarrie, miopi calcoli elettorali, gelosie, interessi di casta che sono il potere reale e invidie personali diffuse, espongono tutti insieme il Paese.

C’è la mistificazione grillina sull’uso delle armi che si scioglierà come neve al sole ma intanto alimenta ogni forma di pacifismo interno che genera ribellismo e slogan vigliacchi su Draghi tipo “servo degli americani” che punta comunque a indebolire la posizione italiana all’estero. C’è la sceneggiata del viaggio di Salvini in Russia che viola tutti i canoni propri di lealtà e di rispetto delle regole imposti dalla partecipazione a una maggioranza di governo, ma che riesce anche a trovare qualche sponda russa del tipo “speriamo che Salvini venga proprio” che il suo danno lo fa comunque. Si rendono almeno conto questi signori che si sta scherzando con il fuoco?

Perché si indebolisce, anche indirettamente, una leadership che sta facendo finalmente contare l’Italia in Europa e non è vero che in politica estera, come si dice in casa nostra, si rappattuma sempre tutto. Perché non è così. Fin qui siamo all’evidente. Poi c’è qualcosa di meno evidente e qualcosa che si muove dichiaratamente nell’ombra. Questo qualcosa ultimo rappresenta l’insidia maggiore. Ma vi siete resi conto di come aumenta in chiave di politica interna il numero di soggetti che ripetono “non oso pensare che cosa possa succedere da qui al 2024”? Interrogativo che sottintende peraltro un dato assolutamente reale che coincide con il massimo (reale) di incertezza globale visto che siamo davanti a una serie di shock da guerra e pandemia che incidono su inflazione, materie prime energetiche e agricole.

L’insistenza ripetitiva, però, dell’argomento (reale) unita a cenni di partecipazione a seconda dei casi dottrinaria o quasi di tormento fisico personale, mette a nudo le troppe invidie di troppi personaggi che continuano a pensare che dovevano essere loro a salvare il Paese e a loro non piace tanto che sia Draghi. Anche questo tipo di atteggiamento dà il suo contributo. Siamo, infine, arrivati al punto nascosto del problema che riguarda una parte alta dell’amministrazione centrale e territoriale che ha l’atteggiamento di chi è abilissimo a spostarsi di lato in modo quasi impercettibile per cui, a parole, spingono il premier a caricare su riforme e investimenti, ma dentro di sé pensano “così te la faccio pagare perché tu carichi e vai a sbattere sul muro e noi nel frattempo ci siamo spostati di lato”.

Questa parte alta e diffusa dell’amministrazione del Paese non si è resa conto che è cambiato il mondo. Sono dieci-quindicimila persone che si trovavano molto a loro agio con Conte e ora pongono in atto nell’ombra la rivolta dei feudatari, da questo punto di vista i politici che manovrano sono solo gli “utili idioti” nelle loro mani. Perché feudatari e mandarini di Stato, Regioni e Comuni sanno che se il governo Draghi riesce a smantellare la feudalità delle corporazioni che è il problema storico delle riforme in Italia, loro sono finiti. Perché in Italia, questa è la regola principe del nostro declino, si deve sempre dire che le riforme si fanno, ma non si fanno. Ernesto Ragionieri, che era uno storico attento e non c’è più, coniò la frase del riformismo senza riforme di Giolitti, ma la si potrebbe anche considerare una specie di maledizione storica italiana. Perché riguarda quasi tutte le stagioni politiche degli ultimi trent’anni tenendo conto anche qui che le eccezioni ci sono state, ma le hanno fatte sempre durare poco.

Chi governa si rende conto che il sistema non funziona. C’è chi pensa solo a tenere il potere e chi invece vuole cambiare. A quel punto, però, che cosa succede? Che chi vuole cambiare imposta il cambiamento, ma in pratica non te lo fanno fare perché c’è un sistema di tribù e di corporazioni che controllano tutti i colli di bottiglia che bloccano il Paese. Questo sistema ha i suoi feudatari o mandarini di riferimento, fate voi, che agiscono nell’ombra, non sai nemmeno come si chiamano, tirano le file da dietro le quinte, ma controllano tutti i corpi dello Stato o per lo meno hanno la loro rete o comunque sanno farsi sentire. È una specie di oligarchia molto più complessa di quella russa. Stanno dappertutto. Una volta semplicisticamente e riferendosi a una quota riduttiva di questa multiforme galassia li chiamavano boiardi.

Oggi Draghi vuole vincere la scommessa della modernizzazione del Paese e attuare il Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) sia dal lato delle riforme sia dal lato degli investimenti ed è riuscito ad avere con sé la parte più sana e consapevole del tessuto produttivo, sociale e civile del Paese, ma è bene che sappia che lui e i suoi ministri devono fare i conti ogni giorno con questo muro “mobile” di feudatari e mandarini. Perché il “muro mobile” passa da un territorio all’altro e crea piccole e grandi barriere insormontabili. Ma vi rendete conto che cosa succederebbe al Sud se riuscisse davvero ad attuare questa azione di modernizzazione? Se la molla del cambiamento scattasse con il Pnrr proprio in casa nostra, alla fine dell’opera avresti un altro Sud e, quindi, avresti un’altra Italia. Avremmo tutti un’altra amministrazione.

Ricordatevi che il successo in Europa e la credibilità internazionale di Draghi non tranquillizzano ma agitano le lobby mentre noi dobbiamo cambiare nella manifattura come nel fisco, nella concorrenza come nella scuola. Dobbiamo misurarci con gli squilibri territoriali, la produttività, il lavoro, la demografia. Non a parole, ma con i fatti. Dobbiamo misurarci con la sfida del nuovo equilibrio interno. Tutto questo deve cambiare per forza perché è cambiato il livello internazionale, ma i vecchi e i loro eredi dei mandarinati italiani sono terrorizzati e frenano. Demagogia, gelosie, interessi di casta e micro partitici fanno il resto. Con Draghi e l’esperienza del governo di unità nazionale potremo partecipare al cambiamento del sistema internazionale e dire la nostra sul nuovo ordine mondiale, ma ci potremo essere e contare se non rimarremo quello che siamo o, meglio ancora, solo se per una volta per davvero saremo così cambiati da diventare il Paese guida della modernizzazione europea. Volendolo abbiamo tutte le energie e le risorse per esserlo.


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