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TRA gli Stati dell’Europa che sanzionano la Russia per la guerra contro l’Ucraina  e Mosca che prova a rispondere con ritorsioni nei confronti dei sanzionatori, si collocano alcune compagnie statali europee che, di soppiatto, stanno guadagnando dollari (o euro) a palate dal commercio di petrolio e gas in Europa che, pur se affievolito dalle sanzioni, prosegue dal momento che sono ancora molti i Paesi che non possono privarsi degli idrocarburi russi.

L’aumento dei margini della raffinazione sta infatti assicurando ingenti profitti ad aziende di Ungheria, Bulgaria, Polonia, Romania e altri Paesi europei. E’ anche per non far cessare questa “mangiatoia” che alcuni Stati si sono messi di traverso sull’embargo totale del greggio russo inserito nel sesto pacchetto di sanzioni dell’Ue nei confronti della Federazione russa che scatterà dal 1° gennaio 2023 ma solo progressivamente e con alcune eccezioni.

L’Ungheria e la Slovacchia, ad esempio, avranno più tempo a disposizione per attuare il divieto e potranno continuare ad acquistare petrolio greggio russo fino alla fine del 2023 in base ai contratti esistenti. Ciò è motivato dalla presenza di un’unica compagnia di combustibili fossili, la Mol – che vanta una presenza anche in Italia, a Mantova, attraverso Ies, Italiana Energia e Servizi Spa, società specializzata nel trading, stoccaggio e distribuzione di prodotti petroliferi. Il colosso dei combustibili fossili che gestisce raffinerie nei due Paesi, oltreché in Croazia. Budapest non a caso è stato uno dei più strenui oppositori ad un embargo petrolifero della Russia, per paura che ciò possa paralizzare la sua economia. In autunno l’Ungheria ha ridotto i prezzi della benzina, una misura che la scorsa settimana il governo ha deciso di prorogare fino al prossimo 1° luglio. I costi del blocco dei prezzi sono divisi tra i grandi player, i piccoli distributori al dettaglio e lo Stato.

Il governo magiaro offre vantaggi fiscali e sussidi, ma questi comunque lasciano ai piccoli rivenditori l’onere di coprire i costi operativi, il che ha portato alcuni di loro a minacciare di fare causa. Nel frattempo Mol ha visto la sua perdita dovuta al price cap (la forma di regolazione dei monopoli naturali) coperta in gran parte da un aumento dei margini della raffinazione del petrolio. I margini di raffinazione dell’azienda, infatti, a marzo sono balzati a livelli sbalorditivi. Rispetto al record decennale precedente di 9,3 dollari al barile sui prodotti raffinati, a marzo Mol ha guadagnato 34,9 dollari al barile di petrolio raffinato. Ciò in gran parte è dovuto al prezzo molto più basso della miscela di petrolio da esportazione russa (Russian export oil blend) utilizzata nelle raffinerie di Mol rispetto ad altri tipi di petrolio.

Quei prezzi sono stati ulteriormente spinti verso il basso dalle sanzioni imposte alla Russia dai Paesi occidentali. Slovnaft, la raffineria sussidiaria di Mol in Slovacchia, anch’essa completamente dipendente dal greggio russo, sta affrontando una tendenza al ribasso molto simile. Tuttavia, gli analisti affermano che ciò non è dovuto esclusivamente alle sanzioni. «Anche i profitti dalla produzione di diesel sono significativamente più alti. Anche prima della guerra c’era una carenza globale, e l’invasione russa l’ha moltiplicata», ha spiegato Tamás Pletser, analista di Erste Securities a Budapest.

Sul fronte dei margini cose simili stanno avvenendo in Polonia, sebbene si traducano in risultati politici diversi. La più grande azienda del Paese che lavora petrolio greggio, la Pkn Orlen, gestisce 6 raffinerie: 3 in Polonia, 2 nella Repubblica Ceca e una in Lituania. Tuttavia, l’azienda nel 2020 è riuscita a ridurre al 70% la dipendenza dal petrolio russo dal 90% del 2017 e ha anche beneficiato della volatilità del mercato: se a febbraio il margine di raffinazione dell’azienda era di 7,70 dollari al barile, a marzo è passato a 39,30 dollari. Tuttavia, la compagnia è disposta a rinunciare al petrolio russo: «Se l’UE imporrà un divieto sul petrolio greggio russo, Pkn Orlen rispetterà questa decisione», ha detto Daniel Obajtek, presidente esecutivo di Pkn. «Possiamo farlo in qualsiasi momento, siamo preparati».

Altri Paesi dell’Ue stanno valutando strutture di proprietà di società russe. In Germania due raffinerie – Schwedt e Leuna – importavano petrolio russo, anche se quest’ultima recentemente ha cessato. Schwedt è di proprietà di Rosneft (la compagnia petrolifera in maggioranza del governo russo) e il suo modello di business è stato descritto dal ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, come «importazione di petrolio russo a buon mercato per la raffinazione». Lo Stato tedesco del Brandeburgo, dove si trova Schwedt, ha un’economia debole ed è governato dall’Spd, il partito del cancelliere Olaf Scholz. In Romania Petrotel, una delle tre principali raffinerie attualmente operative, è stata acquistata dalla russa Lukoil nel 1998. Nel 2021 su una capacità di 2,4 milioni di tonnellate all’anno, 2,1 milioni di tonnellate sono state raffinate dal petrolio importato. Lukoil possiede anche asset in Bulgaria: Lukoil Neftohim Bulgaria, entrata a far parte del gruppo Lukoil nel 1999, è la più grande raffineria di petrolio dei Balcani. Tra il 2006 e il 2020 la società ha registrato utili solo nel 2007, 2016 e 2017, dichiarando perdite in tutti gli altri anni. Nell’ultimo report aziendale, pubblicato nel 2020, la società ha dichiarato una perdita di oltre 255 milioni di euro. Inoltre la raffineria Lukoil Neftohim, nella città portuale di Burgas, sul Mar Nero, è stata costruita in modo tale da poter raffinare solo petrolio russo e altri rari tipi di petrolio del Medio Oriente. L’esperto energetico bulgaro Vasil Nachev pochi giorni fa ha commentato che il prezzo del petrolio russo Urals utilizzato dalla raffineria di Lukoil in Bulgaria era di 37 dollari in meno al barile rispetto al Brent, il riferimento sui mercati petroliferi globali.

«La Commissione per la tutela della concorrenza deve assumere il ruolo e verificare il meccanismo con cui si forma questo prezzo. Abbiamo un intermediario lì. Tuttavia, la Bulgaria tace sull’importazione di petrolio lavorato nella raffineria», ha spiegato Nachev. Secondo Martin Vladimirov, esperto di energia presso il think tank bulgaro Center for the Study of Democracy, la società intermediaria è Litasco, azionista di maggioranza di Lukoil Neftohim Bulgaria. Litasco è stata fondata nel 2000 in Svizzera ed è l’esclusiva società di marketing e commercio internazionale di Lukoil. «La differenza va a Litasco in Svizzera, dove c’è un’imposta sul profitto molto bassa e ci sono delle opzioni legali che consentono di non tassare questo profitto e di andare direttamente in Russia. In questo modo, il profitto rimane in Russia», ha spiegato Vladimirov.


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Alessandro Chiappetta

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