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SENTENZA ribaltata parzialmente in secondo grado per Giuseppe Salvatore Mancuso e confermata invece per il padre, il presunto boss Pantaleone Mancuso, alias “L’ingegnere”. Questa la decisione della Corte d’Appello di Catanzaro (presidente De Franco, a latere i giudici Pezzo e Luzza) che chiude il secondo step giudiziario del processo denominato “Family affairs”, avente ad oggetto il duplice tentato omicidio di Romana Mancuso – zia dei due imputati – e del figlio Giovanni Rizzo, in quello che si inquadrava – per come hanno svelato le indagini e confermato i vari collaboratori di giustizia, tra cui Emanuele Mancuso, altro figlio del boss – in una guerra intestina al clan di Limbadi per la presa del potere. Episodio che avvenne nel maggio del 2008 nelle campagne tra Nicotera e Limbadi.

In primo grado il gup distrettuale di Catanzaro, Perri, aveva assolto padre e figlio dalla contestazione aggravata dalle modalità mafiose, ma la Corte ha invece riconosciuto la responsabilità del giovane, difeso dagli avvocati Francesco Sabatino e Francesco Capria, condannandolo a 8 anni di reclusione a fronte di una richiesta a 14 anni di reclusione avanzata dalla procura generale.

Assoluzione, come detto, confermata anche in Appello, invece per Pantaleone Mancuso, difeso dagli avvocati Sabatino e Valerio Spigarelli, per il quale era stata chiesta la condanna a 16 anni di reclusione.

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