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MILANO – La seconda Corte d’Appello di Milano ha ribaltato la sentenza di primo grado sul caso Mps e ha assolto tutti e 13 gli imputati, tra dirigenti ed ex dirigenti e banche.

È terminato con un colpo di scena il processo di secondo grado sulla vicenda dei derivati Alexandria, Santorini, del prestito ibrido Fresh e la cartolarizzazione Chianti Classico stipulati dall’istituto di Rocca Salimbeni. Tutte operazioni che, per l’accusa, sarebbero servite per occultare nel bilancio di Mps le ingenti perdite provocate derivanti dall’acquisizione di Antonveneta nel 2008. Impostazione che aveva retto in primo grado – dove dopo quasi 3 anni di udienze erano state inflitte condanne fino a 7 anni e 6 mesi di carcere agli ex vertici della banca – ma non hanno tenuto in secondo grado.

La corte, presieduta da Raffaella Zappatini, infatti, oltre ad assolvere tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste” e prosciogliere l’ex presidente Giuseppe Mussari e l’ex direttore generale dell’istituto Antonio Vigni da tre capi d’imputazione per intervenuta prescrizione, ha anche revocato le confische per oltre 150 milioni di euro disposte in primo grado a carico di Deutsche Bank e di Nomura.

Le accuse erano pesanti. I reati ipotizzati nei confronti degli imputati, a vario titolo, erano manipolazione del mercato, falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo all’autorità di vigilanza. Deutsche Bank e Nomura, invece, erano finite a processo per aver violato la legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti.

Dopo la lettura della sentenza, in aula i legali degli imputati hanno manifestato tutta la loro soddisfazione. In tanti hanno sottolineato come, a quasi 10 anni di distanza da quando alcuni risparmiatori avevano depositato i primi esposti in procura a Siena, «giustizia sia stata finalmente fatta».
L’avvocato dell’ex presidente Mussari, il professor Tullio Padovani, ha preso in prestito le parole di Bertold Brecht: «Questo è il disvelamento di come si esercita il terribile potere di accusa in Italia – ha detto – dove, per fortuna, esiste ancora un giudice, rintanato a Berlino».

Di «inchiesta incerta e malferma e basata su prove che in dibattimento erano destinate a dissolversi», ha parlato l’avvocato Francesco Centonze, che con l’avvocato Carla Iavarone assisteva l’ex direttore generale della banca, Antonio Vigni. «Abbiamo quindi lottato – ha aggiunto – e argomentato le nostre ragioni e possiamo dire che giustizia è stata fatta». «Ho sempre creduto nell’innocenza degli imputati e grazie a Dio la giustizia esiste e io come avvocato ho sempre avuto fiducia nella giustizia», ha chiosato l’avvocato Giuseppe Iannaccone, che assisteva i manager di Deutsche Bank finiti a processo.

La rappresentante dell’accusa, il sostituto Pg Gemma Gualdi, aveva sollecitato condanne che ricalcavano quelle di primo grado, pur tenendo conto dell’intervenuta prescrizione per alcuni reati contestati. In particolare, per Giuseppe Mussari aveva sollecitato per una condanna a 6 anni e 4 mesi di reclusione, contro i 7 anni e 6 mesi stabiliti dai giudici di primo grado.
Per Antonio Vigni, ex direttore generale della banca, il sostituto Pg Gualdi aveva chiesto una condanna a 6 anni (in primo grado la pena per lui era di 7 anni e 3 mesi), mentre per l’ex responsabile dell’area Finanza, Gianluca Baldassarri, il sostituto Pg ha puntato ad una condanna a 4 anni (contro i 4 anni e 8 mesi inflitti in primo grado).

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