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IN sede di commento, ho affermato che lei, a distanza di 30 anni circa, ha riassunto due civiltà storiche e politiche diverse. Quale delle due preferisce e perché?
Non so fare un confronto sereno tra i due periodi storici. Quando ho cominciato ad appassionarmi alla politica, insieme a mio marito, tutto era diverso: c’era un grande rispetto per le istituzioni, per le regole, per le gerarchie. La politica si faceva con i comizi più che con i sorrisi (e per una donna era due volte difficile), e i voti di conquistavano a scena aperta. Ma erano anche tempi di paura e assoggettamento: le persone più umili – ed erano tante – erano completamente sottomesse alla politica e ai suoi metodi, spesso brutali e impudenti. Noi abbiamo avuto modo di osservarlo da un punto di vista privilegiato: gran parte dei nostri attuali problemi politici, in Lucania, si sono generati proprio in quelli anni. Non si può dire quale periodo sia il migliore, si può dire che in quegli anni noi abbiamo fatto il nostro dovere, come tanti altri, a prescindere dal colore politico. E che, anche oggi, continuiamo a fare quello che riteniamo giusto. Ma oggi è già il tempo dei giovani.
Non le fa paura stare tanto sotto i riflettori?
La “notorietà” non è questione che mi appassiona. Il luogo politico dal quale provengo, oramai estinto, esigeva una partecipazione impersonale, disinteressata. Ad oggi, ciò che più mi interessa è dare il mio contributo al risanamento della città che il sindaco De Luca ha avuto il mandato di governare.
Risanamento. Non sarà troppo per una giunta così debole?
Situazioni di squilibrio come quella attuale del Comune di Potenza non sono, in politica, né rare, né patologiche. Ma non bisogna dimenticare che, in pochi mesi, è stato fatto tantissimo, soprattutto per recuperare milioni di Euro alle finanze cittadine. Prima, questo denaro veniva praticamente buttato, adesso viene risparmiato. Penso a quanto fatto per il centro di trasferenza rifiuti, o al piano trasporti, o ancora, per quanto riguarda il mio assessorato, alla gara per le mense scolastiche, pronta per essere espletata, caratterizzata da uno standard contrattuale superiore ai precedenti, e che assicurerà risparmi prevedibili intorno al 40% rispetto al passato. E ancora, penso al lavoro fatto sulla programmazione europea, che consentirà entrate, finalmente reali (e non effetto di “finanza creativa”) per decine di milioni di euro nei prossimi anni. Intendo questo per risanamento. Moltissimo resta da fare, ma siamo sulla strada giusta.
Lei è in una posizione molto delicata, ha ereditato nientemeno che la cultura, la macchina di consenso elettorale preferita dell’ex sindaco Santarsiero. Non si sente a disagio?
Per come la vedo io, il Comune non fa, e non deve fare, cultura. La cultura la fanno i cittadini, la gente, le comunità, i singoli. I quali sono gli stessi che decidono, anche, cosa è cultura e cosa non lo è. Quando la cultura diventa un recinto politico, un protettorato dell’ente pubblico, quando fioriscono iniziative culturali solo se finanziate dalla politica, la cultura smette di essere tale e si fa conformismo, diventa un costosissimo, e spesso mediocre, servizio pubblico, che produce i mostri (anche estetici) di “Città Cultura”, o gli scandali che stanno emergendo sulle passate edizioni della Sfilata dei Turchi. No, non mi sento a disagio. Mi sento, piuttosto, investita di un compito gravoso e delicato.
In soldoni, cosa sta facendo per cambiare le cose?
Stiamo (io, insieme a tutti gli uffici preposti) recuperando l’assessorato, sul tema della cultura, al suo naturale ruolo: sussidiario nei confronti delle associazioni, degli artisti e dei creativi. Ci stiamo sforzando di trasmettere ai cittadini il messaggio che il Comune (per fare un esempio) può incoraggiare la scrittura e la poesia, ma non può acquistare 1000 copie di un libro che “non si vende”. Allo stesso modo, deve essere chiaro che non basta presentare un qualunque progetto culturale per vederselo finanziato: per esempio, non approveremo mai lo scempio architettonico di una “Scalinata del Pensiero” solo perché presenta un qualcosa di ipoteticamente “culturale”. Se si chiedono soldi all’ente pubblico, l’iniziativa deve presentare requisiti di utilità pubblica. Per il resto, ci sono le gallerie e i committenti privati.
E come reagiscono le associazioni al nuovo ruolo “sussidiario” del Comune?
Ad oggi, quasi tutte le realtà culturali cittadine hanno compreso e apprezzato il cambio di passo sulla cultura, consce del fatto che essa, quando è tale, non ha bisogno di assistenzialismi, non ha paura di cercare sponsor nel privato, e non teme di affrontare i consumatori finali, cioè il pubblico. All’Ente rimane l’importante ruolo di supporto delle iniziative culturali: quando serve una sala, l’attrezzatura tecnica, il patrocinio del Comune per un evento, un’agevolazione fiscale prevista dai regolamenti, noi ci siamo sempre.
Mi scusi, ma non sarà, più semplicemente, che il Comune ha finito i soldi?
Se questo metodo fosse stato adottato negli anni addietro, forse adesso il Comune ne avrebbe ancora. E se ne avesse, questo non posso certo negarlo, potrebbe fare molto di più. Per esempio un rilancio serio del Teatro Stabile, un ambito squisitamente pubblico, con un manager retribuito in base ai risultati e una stagione teatrale degna di questo nome. Una questione che, per ragioni di bilancio, sarà possibile affrontare solo nei prossimi anni.
Diceva della Sfilata dei Turchi. Che idea si è fatta di questo evento?
La Sfilata dei Turchi è un po’ il simbolo delle occasioni mancate in materia di Cultura, nella nostra città. Ad oggi, nonostante i rimaneggiamenti, questa straordinaria festa non attrae pubblico dalle regioni limitrofe, non innesca consistenti volani economici, non costituisce occasione di confronto nemmeno con le altre realtà etnoculturali della nostra regione. Questo non va bene: se l’ente comunale può avere un ruolo nella festa, un ruolo ulteriore rispetto alla comunità che ne è custode e interprete, è proprio quello di fare, di una festa popolare, anche un’occasione di crescita collettiva.
Ruolo “sussidiario” anche per i Turchi, quindi, da parte del Comune?
Le faccio osservare un fatto. La nostra comunità, oggi, a differenza del passato, sembra essersi riappropriata della tradizione, e i cittadini partecipano gratuitamente e spontaneamente alla Sfilata, vi apportano novità, ne migliorano lentamente la qualità. Questa tendenza va incoraggiata. Il Comune di Potenza, negli ultimi anni, ha avuto invece nei confronti della festa un approccio dirigistico, burocratico: il Comune come grande organizzatore, addirittura pianificatore culturale (uno standard degli anni ’50), il Comune come centro unico di spesa.
La carica culturale della festa è stata degradata, in parte, al livello di occasione celebrativa della classe dirigente in carica. Questo è un grave errore culturale. La festa non è del Sindaco, dell’assessore al ramo, dei comitati “scientifici” di nomina politica. La festa è dei cittadini. L’idea è di restituirla alla comunità, secondo il naturale schema operativo che l’ha conservata fino ad oggi: più spazio all’associazionismo, al volontariato , alla partecipazione diretta, alla creatività (fenomeni emergenti della festa, e a torto sottovalutati da molti); al Comune resta l’importante ruolo, sussidiario (come ha osservato lei) e di supporto, che gli è naturale: la pianificazione logistica, la sicurezza e il decoro, la tutela delle aspettative dei commercianti e dei residenti del centro, la gestione dei flussi, anche turistici.
Insomma, mi pare di capire: non la vedremo, insieme al sindaco a agli altri assessori, sfilare tra i figuranti?
Sono convinta di una cosa: le più apprezzabili novità della festa, negli ultimi anni, sono -tutte- opera di cittadini volontari: i grandi concerti, i Portatori del Santo, della Iaccara e dei Cinti. Le iniziative “comunali”, invece, hanno in genere ricevuto un apprezzamento inferiore: il “palio”, la partecipazione in calzamaglia del primo cittadino, i “casting” per scegliere le odalische. Ritengo che per rendere la festa patronale un grande evento, e restituirgli il giusto ruolo anche fuori dai confini cittadini, bisogna dare spazio alle energie della comunità. Il Comune, e la politica, devono occuparsi di creare le condizioni per una festa sicura, godibile, civile, divertente e accessibile, cose che non possono fare da soli i cittadini, e sulle quali, paradossalmente, il Comune non è stato efficiente negli ultimi anni.
Con il Comune così indebitato sarà difficile, comunque, ripetere i fasti dell’epoca Santarsiero.
Non credo che S. Gerardo dipenda così tanto dai soldi pubblici. Il 13 dicembre abbiamo portato alcune migliaia di persone in piazza, per una serie di iniziative connesse al culto di Santa Lucia. Non accadeva da decenni. Ci siamo riusciti unendo, alla tradizionale processione, un coro di 200 bambini delle scuole primarie e secondarie, che ha attraversato il centro della città cantando canzoni della tradizione, e impegnando direttamente i bravissimi docenti degli istituti comprensivi. L’evento è piaciuto molto, pur essendo stato organizzato in pochissimo tempo. E questo è stato solo uno degli eventi del Natale 2014, il cui calendario è stato apprezzato dai cittadini almeno quanto quello delle precedenti edizioni. E sa quanto è costato Natale 2014? 78.000€. La stessa cifra spesa, con la precedente amministrazione, per le sole luminarie.
Cambiamo argomento, almeno in parte: questa giunta arriverà a S. Gerardo?
Questa risposta non dipende da me, ed è escluso che mi metta a fare dei pronostici. Se durerà o meno lo decideranno le forze consiliari a cui i cittadini hanno dato la maggioranza, come è giusto che sia. Questa, mi permetto di dire, è una grande responsabilità. Da cittadina, e dopo aver conosciuto “da dentro” la burocrazia della città, spero solo che, con questa o con un’altra giunta, di destra o di sinistra che sia, non si torni ai modelli amministrativi sbagliati della passata consiliatura.
Donne in azione. C’è un’altra rappresentante del gentil sesso che in questi ultimi mesi ha espresso una linea politica che ha lasciato il segno nel quadro politico locale: parlo di Dina Sileo, presidente del Comitato Regionale di “Rivolta l’Italia”, movimento di destra. Quali sono le sue impressioni in merito?
È sempre positivo il fermento politico, e ritengo che questo sia auspicabile a destra come a sinistra. In fondo, la democrazia funziona solo se c’è una dialettica tra diverse opinioni. Che tale fermento politico, poi, sia anche rappresentato da una donna, peraltro molto brillante, mi sembra poi un evento del tutto nuovo nel panorama politico lucano, non solo di destra. L’innalzamento della qualità della classe dirigente regionale passa da piccole rivoluzioni come questa.
Ultima domanda da giornalista curioso: chi è il consigliere che più degli altri ha suscitato un suo apprezzamento politico? E perché?
Omettendo i casi di una mia personale amicizia, e premettendo che tutti gli attuali consiglieri, al di là delle schermaglie politiche, si distinguono per spirito costruttivo e profonda preparazione sui temi amministrativi, tendo ad apprezzare il dibattito con le idee chiare e senza peli sulla lingua. La politica, molti anni fa, si faceva così. Ed era una cosa positiva: i consigli comunali sono fatti per discutere apertamente, davanti ai cittadini, di tutto ciò che succede nell’amministrazione; lasciare troppo spazio ai colloqui privati, alle intermediazioni e ai compromessi, oltre che confliggere con le norme costituzionali, alla lunga ha privato la politica, anche a Potenza, di efficacia e di credibilità.
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