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CATANZARO – Il giorno dopo il suicidio dell’ex giudice Giancarlo Giusti (LEGGI LA NOTIZIA), è il suo avvocato difensore ad alimentare polemiche e dubbi sulle inchieste nei confronti del suo assistito, ipotizzando anche “una istigazione al suicidio”.
Secondo l’avvocato Geppo Femia, infatti, «nel codice esiste un reato estremamente grave che si presta ad una difficile dimostrazione, l’istigazione al suicidio. Certamente c’è stato un accanimento giudiziario nei confronti di Giusti». «Si è ucciso per dimostrare la sua innocenza, non per vergogna», aggiunge Femia.
«A Giusti – ricorda il legale – di ritorno dalla Cassazione dissi: “tu puoi avere tutti i rapporti, anche che io non conosco, con Lampada; puoi avere concordato di fare tutto quello che ti pare per chissà quantimilioni, ma da queste carte tu per me sei assolutamente innocente. Non c’è una corrispondenza con quanto tu hai fatto, che certamente è censurabile dal punto di vista strettamente deontologico. Ma da qui ad arrivare al reato ne passa”».
«Sulla base della decisione della Cassazione – ha proseguito l’avv. Femia – stiamo parlando di 1.700 euro spesi da Lampada in favore di Giusti per avere in cambio, secondo l’impostazione accusatoria ritenuta anche dalla Cassazione, la nomina, peraltro fatta da un collegio, della cugina quale custode di beni sequestrati alla famiglia Pelle. Beni che poi sono stati confiscati. Oltre a questo ci sono due incarichi di monocratico, piccole cose, ed un causa riguardante la moglie di Lampada che Giusti non si è mai fatta assegnare e che è stata gestita da altri magistrati, che hanno dichiarato di non essere mai stati contattati da Giusti».
Una delle due inchieste che vedevano coinvolto Giusti, ha spiegato l’avvocato Femia, era stata archiviata nel 2012 dalla Procura della Repubblica di Catanzaro e successivamente riaperta con modalità «che saranno valutate dal Csm, al quale intendiamo rivolgerci».
«La riapertura dell’inchiesta – ha detto l’avv. Femia – era stata chiesta sulla base della captazione, da parte della squadra mobile reggina, di un colloquio avvenuto nel 2010 nello studio dell’avv. Minasi in cui questi diceva ad appartenenti alla famiglia Gallico di avere un magistrato sotto mano. Il fatto, però, è che il nome che viene fatto, secondo me millantando, non è quello del giudice Giusti, ma di un altro. Anche la descrizione fisica non corrisponde a quella del mio assistito ma coincide con quella del magistrato di cui viene fatto il nome. Ora, vorrei capire perché il nome di un altro magistrato poi diventa quello di Giusti. Era quello che avrei voluto chiedere nel corso del processo, ma ormai, purtroppo, non potrò più chiederlo visto che il processo è estinto per morte del reo».
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