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Piove stancamente. L’orto è impraticabile. Perciò oggi – che è pure domenica – vince la città. Anche perché a distanza di trent’anni continuo a odiare il fango che si attacca alle suole delle scarpe.
Dunque: destinazione libreria. Anzi: Ubik.
Per l’imprescindibile regola appresa il primo anno di università, al corso di istituzioni di economia politica, devo scegliere come allocare le ristrette risorse finanziarie. Sono però combattuto tra Philip Roth – che ha annunciato che dopo Nemesis non scriverà più – o Vandana Shiva.
“Ritorno alla terra” si intitola il libro a cui penso (edito da Fazi).
Mi affascina la sua idea di “ritorno”: non un tornare indietro e basta; piuttosto una presa di coscienza collettiva che non esista una sola direzione, un solo modello economico. Accanto all’economia di mercato – va dicendo la scienziata-ecologista indiana, ce ne sono almeno altre due indispensabili per la vita del pianeta e per quella dei suoi abitanti: l’economia della natura e l’economia di sussistenza, vale a dire “il ciclo ecologico e la ragnatela di relazioni sociali che contribuiscono a tenere in vita tutte le specie, a partire da quella umana”.
Ritornare alla terra, insomma, “significa tornarci con altri occhi, ma anche rimetterci i piedi. Muoversi dalla produttività di mercato a quella della natura, dall’agrobusiness delle multinazionali all’agricoltura biologica dei contadini locali; ma soprattutto riconoscere alle donne, ai nativi, agli animali, alle foreste, il ruolo svolto dal loro continuo lavoro di cura e sussistenza all’interno del ciclo produttivo naturale, di cui la catena alimentare rappresenta il fulcro”.
Io ci torno. Appena mollo tutto, ovviamente.

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