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L’ITALIA è alla ricerca della sovranità alimentare. Il Covid prima e la guerra in Ucraina ora convincono sempre di più sulla necessità di sganciarsi dall’eccessiva dipendenza estera. Se con il gas e il petrolio si può solo puntare a diversificare le fonti, per l’agricoltura è tutta un’altra musica. L’Italia è una preziosa miniera di eccellenze. Cibo, dunque, in primo piano. Soprattutto alla luce della situazione mondiale su cui la Fao ha riacceso drammaticamente i riflettori. Se in Ucraina si rischia una catastrofe anche alimentare, la fame morde fette sempre più estese del pianeta. Il conflitto nel cuore della vecchia Europa sta facendo impazzire i costi delle materie prime, comprese quelle agricole, e per i Paesi più poveri questa situazione si traduce in fame. Commodity a prezzi stellari (anche per le inevitabili speculazioni), insopportabili per popolazioni con pochi spiccioli di reddito, o addirittura introvabili.

CATASTROFI UMANITARIE

L’emergenza provocata dalla guerra ha aggravato una situazione già drammatica per la siccità. E la miscela è esplosiva. Venti milioni rischiano di morire di fame quest’anno per la terribile siccità in Kenya, Somalia ed Etiopia. Il Corno d’Africa – ha denunciato l’Onu – è sull’orlo di una catastrofe umanitaria. E così il numero di persone affamate potrebbe schizzare dagli attuali 14 milioni a 20 milioni. Per il 40% dei somali la carestia si avvicina. Le condizioni sono state esacerbate dalla guerra in Ucraina che ha provocato l’aumento dei prezzi del cibo, del carburante e l’interruzione degli approvvigionamenti.

La crisi alimentare, dall’Ucraina, si diffonde dunque a macchia d’olio nel resto del mondo già pesantemente colpito dagli effetti economici della pandemia. Il direttore esecutivo del World Food Programme, David Beasley ha dichiarato: «I proiettili e le bombe in Ucraina possono portare la crisi globale della fame a livelli mai visti prima».

Russia e Ucraina sono infatti attori importanti nel mercato alimentare globale, con quasi 50 Paesi che dipendono da loro per almeno il 30% del fabbisogno di grano importato. La Russia è anche un importante esportatore di fertilizzanti. Con la guerra, secondo un’analisi della Coldiretti, rischia di venire a mancare dal mercato oltre un quarto del grano mondiale, con l’Ucraina che insieme alla Russia controlla oltre 55 milioni di tonnellate movimentate, ma anche il 16 % del mais (30 milioni di tonnellate) e il 65% dell’olio di girasole (10 milioni di tonnellate).

I cereali, che sono alla base dell’alimentazione in molti Paesi, sono aumentati in un anno del 37%, con il grano che ha raggiunto le stesse quotazioni registrate negli anni delle drammatiche rivolte del pane che hanno coinvolto molti Paesi, a partire dal nord Africa, come Tunisia, Algeria ed Egitto che peraltro è il maggior importatore mondiale di grano e dipende soprattutto da Russia e Ucraina. Ma anche il Congo – sottolinea lo studio dell’organizzazione agricola – importa da Mosca il 55% del grano e da Kiev un altro 15%.

NESSUN PAESE È AL SICURO

E ad alzarsi non sono solo i prezzi del grano, ma anche quelli delle carni e del latte. La fame, dunque, incombe sui più fragili e sono 44 i Paesi che hanno bisogno di aiuti per mangiare. Secondo le stime Fao, nelle aree a più basso reddito sono negative le prospettive dei prossimi raccolti di cereali che dovrebbero calare di oltre il 5 per cento.

La situazione è gravissima. Secondo gli ultimi numeri disponibili, 282 milioni di persone non hanno cibo a sufficienza, con un aumento di 46 milioni rispetto al 2019. Nel caso del Nord Africa, poi, si tratta dell’area da cui arrivano i flussi migratori nel nostro Paese. Algeria, Egitto e Libia sono anche i Paesi che dovrebbero garantire all’Italia le forniture di gas. In un mondo così connesso, dunque, nessun Paese si può sentire al sicuro. La guerra così vicina ha fatto saltare tutte le certezze e ha messo in discussione sistemi produttivi che sembravano consolidati.

Ecco perché in Italia e anche nell’Unione europea cresce la consapevolezza della necessità di aumentare le produzioni interne. I portabandiera di istanze di rilancio delle coltivazioni made in Italy sono i giovani. Ieri in occasione della giornata dedicata agli Oscar green, premi all’innovazione e creatività delle imprese agricole under 35, il tema chiave è stato proprio la sovranità alimentare.

Un compito, come ha spiegato il segretario generale della Coldiretti, Vincenzo Gesmundo, affidato tutto ai giovani. Il percorso è possibile – ha sostenuto nel suo intervento anche il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli: «O investiamo sui giovani o la sovranità non si esercita». E, per attirare i giovani, l’innovazione ha un ruolo fondamentale.

La risposta dei giovani c’è stata e continua a esserci. Nonostante le tante criticità continuano infatti ad avere voglia di scommettere sull’agricoltura, come ha ricordato Veronica Barbati, delegata dei giovani Coldiretti. E ora potranno contare anche su più soldi. Il Piano strategico per l’applicazione in Italia della nuova Pac (Politica agricola comune) ha incrementato del 4% la quota delle risorse finanziarie destinata agli under 40, il 2% in più per gli aiuti diretti e il resto per i Piani di sviluppo rurale (comprensivi di cofinanziamento). Sono soldi sicuri di fonte Ue. Si tratta di un risultato importante fortemente spinto dalla Coldiretti che sta giocando molte carte sulle nuove leve per conseguire quella autosufficienza oggi più che mai importante per affrontare le emergenze nate prima con il Covid e aggravate con il conflitto in corso in Ucraina.

LA SPERANZA DALLE AZIENDE GIOVANI

I giovani, dunque, come asse portante della nuova agricoltura che riparte dall’innovazione, soprattutto al Sud dove si concentrano le attività imprenditoriali agricole guidate dagli under 35. Al primo posto la Sicilia, con il 12% del totale nazionale, tallonata da Puglia e Campania (10%). Ma un’incidenza consistente si rileva anche in Calabria e Basilicata. E sono sempre le regioni meridionali, con Puglia e Sicilia in prima linea, quelle dove si registra il maggior numero di iscrizioni. Tutti dati presentati ieri dal Centro studi Divulga. Sono quasi 56mila i giovani che hanno scelto la professione agricola investendo nella terra, dalla coltivazione all’allevamento, dall’agriturismo alle vendite dirette fino alle bioenergie e all’economia green. E mentre negli altri comparti si registra un calo del 10% degli under 35, l’agricoltura viaggia in controtendenza, con un incremento negli ultimi 5 anni del 2 per cento.

Nel 2021 ogni giorno sono nate 18 nuove imprese agricole. Si tratta anche di realtà produttive caratterizzate dalle migliori performance, dalla superficie superiore di oltre il 54% rispetto alla media al fatturato più elevato del 75% fino al +50% degli occupati. Le nuove leve sono anche le prime della classe nell’Unione europea: a fronte del valore della produzione degli under 35 italiani, pari a 4.964 euro a ettaro, si scende a 2.129 euro in Francia e a 2.008 della Spagna.

Le aziende giovani sono anche quelle più sensibili al fascino della tecnologia. Ma anche quelle che hanno rivoluzionato il modo di interpretare la professione con una netta virata verso le cosiddette attività multifunzionali: dalla trasformazione dei prodotti agricoli alla vendita diretta, dall’agriturismo alle fattorie didattiche fino alle Spa nei campi e alle agroenergie.

«La pandemia prima e la guerra in Ucraina – ha detto il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini – stanno spingendo uno storico ritorno delle nuove generazioni nelle campagne, dove possono esprimere creatività e portare un contributo al Paese in un momento in cui, a causa delle speculazioni, degli accaparramenti e dei limiti alle esportazioni è importante garantire l’approvvigionamento alimentare dei cittadini».


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