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L'incontro tra Ursula von der Leyen e il presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky

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Se l’Europa non fa un passo avanti subito, almento con le compensazioni finanziarie per arginare i danni di tutti, dimostreremo al mondo intero che nessun singolo Paese potrà davvero superare la nuova grande crisi da economia di guerra. Anche la grande Germania scoprirà molto presto di essere troppo piccola per uscire indenne dai due nuovi cigni neri mondiali. Se poi guardiamo meglio le cose di casa nostra rischiamo di avere ancora più paura. Perchè scopriamo che la politica gioca con le elezioni amministrative e che abbiamo 30 e passa miliardi in più di interessi da pagare per collocare i nostri titoli pubblici. Si parla di escalation di sanzioni economiche alla Russia senza nemmeno capire che cosa significano per noi e la grande politica capace di tenere il filo del dialogo tra Est e Ovest, tra autarchia e mondo libero, perde giorno dopo giorno i suoi potenziali tessitori. Se non cambia radicalmente la musica l’Europa ne uscirà in frantumi, ma l’Italia conoscerà gli spasmi della terza recessione.

O cambia l’Europa o cambiamo noi, l’ideale sarebbe che cambiassero insieme Italia e Europa. Purtroppo, siamo tornati a rifare i conti con la solita Europa.  Che vuol dire che la Francia ha il nucleare e si sente a posto e  poi ora pensa solo alle elezioni. Che l’Olanda è ancora quella dei Tulipani, vive di polizze e di derivati su tutto a partire dalle commodity. Che la Germania è la Germania e non vuole fare carte come l’Olanda su un tetto ai prezzi del gas.

Le tessere del mosaico Europa si sono ricompattate contro la pandemia e si sono rifrazionate di fronte alla guerra di Putin in Russia nonostante il teatro di combattimento e il genocidio in atto siano nel cuore dell’Europa. Se l’Europa non fa un passo avanti subito almeno con le compensazioni finanziarie, dimostreremo al mondo intero che nessun singolo Paese potrà davvero superare la nuova grande crisi da economia di guerra. Anche la grande Germania scoprirà molto presto di essere troppo piccola per uscire indenne dai due nuovi cigni neri mondiali. Quando lo capirà, però, potrebbe essere troppo tardi. Le fibrillazioni interne di  ogni  Paese fanno il loro e stanno riportando ogni Paese nel suo pantano senza rendersi conto che solo un’Europa che marcia unita può assicurare quella dimensione minima indispensabile per cercare almeno di arginare i danni per tutti.

Se poi guardiamo meglio le cose di casa nostra rischiamo di avere ancora più paura. Perché scopriamo che l’Italia, anche in questo frangente della storia, non si vuole sporcare le mani con il carbone. Che non vogliamo nemmeno fare i conti con i venti anni di no a tutto che ci hanno portato sull’orlo del baratro. Che la politica gioca con le elezioni amministrative e che gli enti locali non si rendono conto che non spendere significa non crescere. Che abbiamo 30 e passa miliardi  in più di interessi da pagare in tre anni per collocare i nostri titoli pubblici sempre se riusciamo almeno ad evitare lo scenario peggiore. Siamo l’Italia che fa ancora fatica a capire quanto è importante potenziare il collegamento con l’Africa e con il Mediterraneo dell’est, giocare bene la carta dell’Eni in Libia e in Algeria. Lo ha capito perfettamente il governo Draghi e lo sta facendo, ma la sensibilità pubblica e la partecipazione attiva delle forze sociali e della comunità al cambiamento necessario ancora latitano, i partiti addirittura inseguono le loro solite battaglie di propaganda e quindi vanno in direzione opposta a volte senza neppure rendersene conto.

Soprattutto scopriamo che l’Italia è persistentemente lenta nel cambiare le sue abitudini di spesa in conto capitale a livello centrale e territoriale ed è molto distratta  nell’affrontare le questioni vere  che bloccano da sempre la crescita competitiva del Paese. Ignorando pervicacemente che ogni ipotesi di aumento del prodotto interno lordo (Pil), al netto dell’inflazione, può essere oggi essenzialmente legata all’aumento della spesa pubblica, molto, e privata, poco.

Diciamo la verità. In Italia e in Europa siamo usciti dall’emergenza più grave del Covid con la testa che avevamo prima. Siamo ritornati quelli di prima per i quali i giovani arrivano per ultimi, ognuno pensa al proprio interesse, con il governo di unità nazionale guidato da Draghi che è rimasto solo a giocare per difendere l’interesse nazionale alle prese con la guerra, l’economia di guerra che ne discende, gli effetti di una pandemia che non è sparita del tutto, e un amaro gioco di società dove ognuno è tornato a porre l’interesse particolare contro l’interesse di tutti.

Purtroppo, questo in Europa non sta avvenendo solo in Italia. Purtroppo lo si fa proprio nel momento in cui bisognerebbe mettere davanti a tutto l’interesse collettivo Ognuno deve capire che il solo modo di raggiungere la tenuta dell’interesse collettivo è quello di rimanere uniti in Italia come in Europa. Altrimenti finiremo tutti male, nessuno escluso. Questa è la lezione di questi giorni della guerra lunga dopo la pandemia lunga in cui si parla di escalation di sanzioni economiche alla Russia senza nemmeno capire che cosa significano per noi e dove  la grande politica capace di tenere il filo del dialogo tra Est e Ovest, tra autarchia e mondo libero, perde giorno dopo giorno i suoi potenziali tessitori. Dove si sta facendo di tutto per bruciare anche Putin. Se non cambia radicalmente la musica l’Europa ne uscirà in frantumi, ma l’Italia conoscerà gli spasmi della terza recessione. Quella irreversibile. Speriamo che almeno questa doppia grande paura faccia rinsavire tutti in casa e in Europa.


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