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Il Tribunale di Lamezia Terme

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LAMEZIA TERME (CATANZARO) – Estorsione nei confronti di un suo operaio. Un’accusa che costa la condanna a 3 anni e 4 mesi di reclusione (così come chiesto dal pm) all’imprenditore Antonio Cantafio. La sentenza di primo grado è stata emessa dal giudice Riccio del tribunale di Lamezia.

Secondo le accuse, in tempi diversi, Cantafio avrebbe costretto un suo dipendente, D.C., mediante minacce di licenziamento, dopo averlo indotto a firmare una serie di documenti senza conoscerne il contenuto, a mantenere la carica di amministratore della Cantafio group srl, in tale modo – sostiene l’accusa – da fare ricadere sullo stesso, le eventuali future responsabilità derivanti dalla gestione contabile, amministrativa e finanziaria della società poi fallita. Fatti riconducibili dal 2010 al 22/10/2014 data del fallimento.

La vicenda infatti ruota attorno al fallimento della ditta da cui Cantafio e la figlia a giugno 2020 sono stati assolti dall’accusa di aver distratto i beni per evitare che i creditori si avvalessero sulle proprietà degli amministratori della ditta fallita. Antonio e Concetta Cantafio, padre e figlia, erano infatti stati assolti da questa accusa (il pm Marta Agostini aveva chiesto una condanna a 5 anni per l’imprenditore Antonio Cantafio).

Le contestazioni da cui poi era stata emessa sentenza d’assoluzione dal tribunale collegiale di Lamezia, partirono da una denuncia querela proprio della figlia di Antonio Cantafio.

Nel 2014, erano state sottoposte a sequestro 15 unità immobiliari fra Lamezia e Falerna. Beni che poi sono stati restituiti (fu rigettata la richiesta del pm che ne aveva chiesto la confisca).

Erano stati i finanzieri della sezione di polizia giudiziaria e del gruppo di Lamezia Terme che eseguirono le indagini a seguito del fallimento della ditta, ad apporre i sigilli ai beni (quattro appartamenti e un magazzino ubicati a Falerna, e sei appartamenti, tre magazzini e un fabbricato commerciale, utilizzato come deposito e laboratorio, ubicati in via del Progresso a Lamezia Terme, poi dissequestrati e restituiti).

In particolare, le indagini delle fiamme gialle di Lamezia Terme avrebbero fatto emergere le ipotesi accusatorie di bancarotta documentale e di bancarotta patrimoniale, determinata dal tentativo – secondo quanto sosteneva l’accusa – di occultare e\o disperdere molti beni della ditta fallita.

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