X
<
>

Share
4 minuti per la lettura

MELFI – Sullo sfondo la gigantografia dell’auto che in Sata ha fatto il miracolo. Sul palco uno dei manager Fiat a confronto con i sindacalisti della Uil e l’assessore Liberali. In platea molti dipendenti Fiat, che strabuzzano gli occhi soprattutto quando si parla di rinnovo del contratto e turni. «Una giornata di festa» per celebrare la rinascita dello stabilimento lucano, e salutare definitivamente la fase che – con le parole dell’Ad Marchionne, riprese ieri dall’ex segretario nazionale della Uil, Luigi Angeletti – potrebbe essere definita “prima di Cristo”.
Perché il mondo è cambiato, Fiat è cambiata e anche i sindacati sono chiamati a un nuovo ruolo. «Abbiamo la pretesa di poter dire che noi l’abbiamo intuito per primi», dice il segretario della Uilm nazionale, Rocco Palombella. «Siamo quelli che ci hanno creduto, contro quelli che si sono rivelati “profeti di sventura”».
Il riferimento è chiaramente alla Fiom, che – ricorda ancora Palombella – «quando nel 2013 sono stati inaugurati i cantieri di ristrutturazione, erano fuori a protestare ai cancelli».
«Abbiamo sofferto – aggiunge il segretario dei metalmeccanici – ma adesso iniziamo a vedere i primi frutti. E vorremmo essere trattati come coloro che si sono assunti una responsabilità». E’ la parte più strettamente sindacale dell’iniziativa voluta dalla Uil Basilicata: la nuova fabbrica globale, e le ricadute sul territorio locale. La fase “dopo Cristo”, appunto. Quella che si è aperta – come spiega per Fiat il responsabile delle relazioni industriali, Pietro De Biasi – dalla fusione con Chrysler. «Cosa saremmo oggi se Fiat fosse rimasta negli stretti confini nazionali? Sarebbe stato un suicidio». E Melfi, che, seppure più lentamente degli altri stabilimenti, ha visto gradualmente ridurre le proprie produzioni, lo sa bene. Oggi, però, le cose sono ben diverse. «Con i suoi due nuovi modelli – Jeep Renegade e 500 X – presto darà lavoro a 7000 persone, diventando la fabbrica più grande d’Italia». Non solo Sata. Come annuncia il responsabile delle relazioni industriali, presto arriveranno buone notizie anche per Cassino e Mirafiori. Per stare ai fatti di casa nostra, «Melfi dovrà giocare la sua sfida ponendosi come esempio di qualità assoluta, come stabilimento di ultimissima generazione». Dal canto suo, la Regione Basilicata, rappresentata ieri dall’assessore alle Attività produttive, Raffaele Liberali, assicura che svolgerà sul territorio un ruolo di raccordo per accompagnare il processo innescato da Fca. E affinchè esso si propaghi all’indotto, non solo di primo, ma soprattutto di secondo livello. Puntando soprattutto su innovazione tecnologica e differenziazione dei prodotti, attraverso la costituzione di un distretto industriale che sappia intercettare le possibilità che arrivano dai bandi europei e aprire il confronto con altre realtà simili». «Noi ci siamo», aggiunge il segretario Carmine Vaccaro, in un “fuori programma” rispetto ai lavori della tavola rotonda moderati dal caporedattore Rai, Oreste Lopomo. «Lo abbiamo già dimostrato. E continueremo a farlo: siamo lo stabilimento di cui Fiat si può fidare». Ma per il segretario regionale della Uil, anche l’azienda dovrà porsi in una maniera diversa rispetto a com’è stato. Auspicio che sostanzialmente si traduce in questo: «Una fabbrica più aperta sul territorio al posto di quella che negli anni passati ha praticato un aristrocatico isolamento». Ma è quando si inizia a parlare di modello sindacale, relazioni industriali e turni, che il confronto si riscalda. De Biasi riconosce a Uilm e Fim di aver saputo guardare lontano, e alla Fiom che prima di riconciliarsi con l’azienda, dovrà ricucire un rapporto di fiducia con i lavoratori per le scelte sbagliate fatte in nome di campagne puramente ideologiche.
Ma a Cisl e Uil dice pure che ancora c’è molto da fare per costruire il sindacato moderno. Cita il modello americano, come punto di riferimento. «Ma – avverte Palombella – non si può pensare di confrontarsi prendendo il meglio del sistema d’oltreoceano e quello italiano. Non funziona così. Se il sindacato deve cambiare, deve farlo anche l’azienda. Perché io come posso spiegare a un lavoratore che il suo contratto vale meno, in termini di salario, rispetto a quello di un’azienda iscritta a Federmeccanica?». Ma a destare l’attenzione della platea composta da molti lavoratori della Sata è soprattutto la parte che riguarda l’aumento dei turni lavorativi. L’azienda presto dovrebbe annunciare il passaggio ai 21 turni, per far fronte alla salita produttivo. «Ci auguriamo – chiude Palombella – che l’azienda voglia concordare l’integrazione salariale con i sindacati. E che nessun pensi di sedersi al tavolo solo per la ratifica notarile». Insomma, il sindacato non può essere solo quello a cui si rivolge per condividere i sacrifici. «O lo si riconosce sempre, o non lo si riconosce mai».

m.labanca@luedi.it

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE