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Il tracciato del gasdotto Eastmed-Poseidon

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Per contrastare la nuova raffica di sanzioni in arrivo dall’Occidente, il presidente della Federazione russa, Vladimir Putin gioca d’anticipo e passa al contrattacco cercando di colpire l’Europa nel suo tallone d’Achille: l’energia.

Dopo avere preteso che il suo gas venisse pagato in rubli e non più in euro e dollari, minacciando di interromperne il flusso, ieri è passato dalle parole ai fatti. Gazprom – la multinazionale russa, controllata dal Governo della Federazione Russa, attiva nel settore energetico-minerario –  venerdì ha interrotto per alcune ore le spedizioni di gas in Germania attraverso il gasdotto Yamal-Europe che parte dalla Siberia settentrionale e attraversa Bielorussia e Polonia.

I flussi attraverso Nord Stream, il collegamento diretto alla Germania, venerdì erano a circa 73,3 GWh/h, leggermente al di sotto del livello di giovedì ma ancora vicino alla piena capacità del gasdotto.

Gazprom ha poi fatto sapere che il transito di gas verso l’Europa attraverso l’Ucraina procede normalmente. Anzi si è affrettata a precisare che a marzo ha addirittura aumentato i flussi di gas verso Italia, Polonia e Turchia, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso in “linea con le richieste e i contratti sottoscritti”.

Un avvertimento? Un colpo sparato a salve?

Sia come sia, il nostro Paese sta vivendo un momento storico in cui la fragilità energetica è più tangibile che mai. La causa sta nel fatto che dipendiamo principalmente da fonti energetiche non rinnovabili e non in maniera autonoma: l’attuale conflitto in Ucraina ha contribuito ulteriormente a far schizzare all’insù i prezzi di gas e petrolio, rinnovando con urgenza il bisogno di trovare strade alternative. Ma il problema sono i tempi e i costi.

Qual è lo stato dell’arte dell’energia elettrica? La sua produzione avviene a partire dall’utilizzo di fonti energetiche non rinnovabili (cioè combustibili fossili come gas naturale, carbone e petrolio in gran parte importati dall’estero) pari al 57,6% e in misura sempre più importante con le fonti rinnovabili, al punto che siamo diventati il terzo Paese in Europa per quantità di energia “pulita”.

Nel 2021, la richiesta di energia elettrica è stata soddisfatta per l’89% dalla produzione nazionale destinata al consumo, per un valore di 270.551 GWh al netto dei consumi dei servizi ausiliari e dei pompaggi. La restante quota del fabbisogno (11%) è stata coperta dalle importazioni nette dall’estero, per un ammontare di 32.200 GWh.La richiesta di energia sulla rete è stata soddisfatta per il 38% dalla produzione da fonti energetiche rinnovabili (idroelettrica rinnovabile, eolica, fotovoltaica, geotermica e biomasse). Il restante fabbisogno elettrico viene soddisfatto con l’acquisto di energia elettrica dall’estero, principalmente da Svizzera, Slovenia, Austria e Francia, che poi viene trasportata nel Paese attraverso l’utilizzo di elettrodotti e diffusa tramite reti di trasmissione e distribuzione. 

Questi dati mettono in evidenza anche la discrepanza tra produzione e consumo di energia elettrica: gli impianti devono infatti generare più elettricità per coprire non solo il fabbisogno effettivo, ma anche le perdite e le dispersioni della rete. Al contempo, la corrente elettrica non si può immagazzinare e questo significa che deve sempre esserci corrispondenza tra prelievo dalla rete e immissione di energia.

L’Italia ha un fabbisogno energetico di 76 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Oltreché dalla Russia, il gas giunge nel nostro Paese dall’Africa. Il gasdotto proveniente dalla Libia, il Greenstream, che lungo 520 km arriva a Gela (Caltanissettta) e il TransMed (lungo 2 mila km), che proviene dall’Algeria e attraverso la Tunisia sfocia a Mazara del Vallo (Trapani) costituiscono le infrastrutture nevralgiche per il trasporto del gas, sempre più caro e sempre più necessario dopo lo scoppio della guerra. Ad oggi, infatti, l’Algeria è il nostro secondo esportatore di gas, subito dopo la Russia.

I gasdotti citati forniscono il 32% del nostro fabbisogno, contro il 38,2% di quello russo. Nei gasdotti, però, vengono immessi ad oggi poco più del 35% della loro capacità. C’è spazio dunque per incrementarne la fornitura. Ma a che prezzo? Le connessioni con i due Paesi nordafricani riguardano al momento soltanto forniture di altro gas, ma sempre di metano si tratta, alimentando ulteriormente la dipendenza da una fonte fossile.

Al tavolo delle trattative tra l’Italia e i “nuovi” partner, in realtà quasi sempre fornitori già esistenti ai quali si chiede di aumentare le forniture, ma parliamo pur sempre di Paesi o dilaniati da guerre civili o politicamente instabili.

È il caso dell’Egitto e della Libia. In entrambi questi Paesi, Eni vanta una storica e consolidata presenza. Basti pensare che dalla costa libica di Mellitah parte il gasdotto GreenStream che poi approda a Gela: sin dalla sua costruzione nel 2004 il gasdotto non ha mai marciato a pieno regime e, secondo gli ultimi dati del Ministero della Transizione ecologica a fronte di una capacità di 10 miliardi di metri cubi di gas nel 2021 ne ha fornito appena un terzo.

In Egitto, invece, il solo giacimento di Zhor ha un potenziale di 850 miliardi di metri cubi di gas. Ecco perché è facile supporre che l’Italia potrebbe tornare a chiedere a questi Paesi un maggiore contributo in termini di rifornimento di gas.

Ora a causa delle tensioni internazionali è stato rispolverato dopo anni il progetto del gasdotto EastMed-Poseidon. L’opera, non ancora realizzata, prevede di collegare il Bacino Levantino (Mediterraneo orientale) ad Otranto in Puglia. Se fosse stato realizzato, l’Italia avrebbe potuto importare annualmente 10-12 miliardi di metri cubi di gas naturale da Israele, passando (in parte) sotto al Mar Mediterraneo.

Il progetto di quest’opera (vedi grafico) è stato sviluppato a partire dal 2008 ma, a causa di una serie di questioni geopolitiche, la sua realizzazione non ha mai preso ufficialmente il via. Il gasdotto EastMed-Poseidon, come suggerisce il nome, dovrebbe essere composto da due tratte distinte.

Stando ai progetti, l’EastMed sarà lungo 1.900 chilometri e collegherà il Bacino Levantino (nelle acque tra Cipro, Israele ed Egitto) con la Grecia. Il gasdotto Poseidon invece coprirà un tratto off-shore di 216 chilometri circa, compreso tra la Grecia e l’Italia. Il fatto è che per realizzarlo ci vorranno tra i 6 e gli 8 anni. Troppi per liberarci dall’orso russo che ci azzanna alla gola!


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