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MATERA – Potrebbe essere il soggetto di un film: dirigente di una grande azienda, a volte tagliatore di teste, decide di lasciare tutto e diventare imprenditore agricolo a 53 anni.
Edoardo Giudiceandrea, 23 anni in Italcementi, ha scelto la sua terra d’origine, la Calabria, gli alberi di ulivo e gli agrumeti per cambiare vita e guardare avanti a 50 anni.
Da giovane laureato in ingegneria chimica, entrò nel 1991 nell’azienda produttrice di cemento. «Lavoravo all’università grazie ad una borsa di studio, ma mi allettava l’idea di mettermi alla prova in un contesto come quello industriale». Il primo incarico fu quello di responsabile di manutenzione dello stabilimento prima a Matera e poi a Castrovillari. «Lì sono rimasto – ricorda – per tre anni e mezzo, per trasferirmi poi vicino Bergamo in un’altra cementeria». Chilometri macinati di pari passo con le promozioni che lo portano ad essere vice direttore e poi direttore di prima nomina, in provincia di Pavia.
Matera torna nella sua vita per la seconda volta e poi, nel 2010 è diventato direttore tecnico. «Ovvero il responsabile di tutta la produzione e dell’assistenza tecnica alle cementerie – spiega ancora, accennando con un curioso eufemismo al periodo in cui davanti alla sua scrivania venivano convocate le persone che non avrebbero più lavorato con il gruppo.
«La congiuntura economica mi impose il ruolo di ridimensionatore del perimetro industriale in Italia che ha comportato la chiusura di molti stabilimenti con contraccolpi sociali che mal digerivo. Sapevo, però, che quella era l’unica via per far restare in vita alcuni stabilimenti. Fare il tagliatore di teste? Non è stato per niente bello – racconta ancora – anche se lo consideravo un ruolo che consentiva comunque di salvare altri posti. Purtroppo nelle multinazionali accade, ma non mi piaceva l’atteggiamento di autotutela della parte altolocata dei dirigenti, non si legava alla mia etica. A quel punto e anche per alcune divergenze di opinioni ho deciso di lasciare l’azienda. C’era un progetto di riutilizzo degli stabilimenti chiusi, approvato dalla proprietà, ma per alcuni giochi non prettamente aziendalisti, non se ne è fatto nulla. A quel punto ho pensato che fosse il momento giusto per occuparmi di un pezzo di terreno che mi aveva lasciato mio padre a Calopezzati, un comune di quasi 1300 abitanti vicino Cosenza».
L’addio, non indolore, ha aperto un nuovo capitolo e fortunato della sua vita che lo ha portato di nuovo a studiare. Questa volta, però, le lezioni hanno riguardato le tecniche di coltivazione. E anche in questo caso Eedoardo Giudiceandrea ha mostrato passione e convinzione. Nel frattempo agli ulivi di famiglia si sono uniti gli agrumeti dell’appezzamento confinante dei suoi cugini, ma il neo imprenditore non esclude di investire ancora. «Tornare in Calabria è stata una scelta naturale – spiega – nel tentativo finora ben riuscito di migliorare la qualità della mia vita, di tornare alle mie radici». Oggi i ritmi sono diversi e seguono i ritmi della terra: «Mi alzo col sole e smetto di lavorare quando non c’è più luce. In estate, però, i tempi si dilatano anche per il caldo della zona: dall’alba fino alle 9,30, poi riprende nel tardo pomeriggio fino all’imbrunire».
Madreterra (www.madreterra.ch), la sua società, è nata così poco tempo fa, per produrre olio, agrumi e prodotti trasformati grazie a questi prodotti della terra. «Sono sposato con una donna svizzera e abbiamo un bambino di due anni. Il nostro mercato di riferimento è quello svizzero a cui abbiamo destinato per ora piccole produzioni. Il mercato è più maturo verso i prodotti biologici ed è meno colpito dalla crisi, quindi più disposto a pagare prezzi adeguati. Vogliamo aumentare la produzione, ma voglio sapere bene come si conduce un uliveto o un agrumeto. Prima di chiedere ad altri di occuparsi delle mie amate piantine, voglio sapere se gli fanno del bene o del male». Della vita da dirigente d’azienda ha solo ricordi positivi, nonostante tutto: «All’ Italcementi ho imparato tutto, come si gestisce un’azienda, come ci si relaziona con i collaboratori, come formare i quadri. Ho imparato l’attenzione doverosa verso l’uomo, sia per i lavoratori che per l’ambiente. Quello che sostenevo all’epoca sullo stabilimento di Matera, si è verificato in termini addirittura più lusinghieri. L’impianto di cottura era vecchio, la sostituzione revamping ha comportato numerosi vantaggi. Le misurazioni dell’Arpab dicono chiaramente che quello che sostenevamo era vero».
Tra i contadini o in azienda, la meritocrazia conta ancora? «E’ il motore fondamentale, il problema è stabilire cosa rappresenta il merito e cosa non lo è. L’elemento imprenscindibile deve essere la visione della sostenibilità».
a.ciervo@luedi.it
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