Consolato Ingenuo
2 minuti per la letturaBOLOGNA – Pestato a morte e poi gettato in un dirupo tra i boschi dell’Appennino bolognese. È la triste sorte toccata a Consolato Ingenuo, operaio edile di 42 anni originario di San Nicola da Crissa, nel Vibonese, da tempo stabilitosi ad Amore in provincia di Bologna, e ritrovato cadavere il 30 luglio del 2019.
Per la morte di Ingenuo, la Corte d’Assise d’Appello di Bologna, ha confermato ora le condanne già inflitte in primo grado a carico di Ivan Rudic, autotrasportatore serbo 36enne, accusato di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e occultamento di cadavere, condannato all’ergastolo, e di Mihai Apopei, operaio rumeno di 51 anni, condannato a due anni di reclusione per occultamento di cadavere.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la vittima, dopo una serata trascorsa con i due amici stranieri in un bar di Tolè, aveva avuto una violenta discussione con Rudic per futili motivi. Dalle parole si era passati presto alle mani e il serbo, condotto Ingenuo lontano da occhi indiscreti, aveva cominciato a picchiarlo brutalmente fino a provocarne la morte. Quindi, spalleggiato da Apopei, aveva trasportato il corpo esanime lungo la provinciale per Cereglio, abbandonandolo infine in un dirupo nel tentativo di simulare un incidente. Il corpo fu trovato il mattino seguente e, nel giro di 48 ore, incastrati da un grave quadro indiziario, i due stranieri furono sottoposti a fermo.
In aula, Rudic ha continuato a professarsi innocente, ma i gravi indizi a suo carico, tra i quali le tracce di sangue rinvenute sulla sua auto abbandonata a 600 metri dal luogo del ritrovamento del cadavere, hanno convinto la cortea presieduta dalla giudice Donatella Di Fiore (a latere Domenico Stigliano) ad accogliere le richieste del sostituto procuratore Stefano Celli e delle parti civili, confermando le sentenze già emesse in primo grado. Secondo i giudici della Corte d’assise, Rudic agì mosso da «un irrazionale sentimento di rancore» nei confronti di Ingenuo. Un sentimento «mai sopito» e montato nel corso di quella serata bagnata dall’alcol fino a sfociare in una «vera e propria esplosione di rabbia».
Soddisfatti per la sentenza i familiari di Ingenuo, parte civile nel processo insieme alla compagna dell’operaio e rappresentati dagli avvocati Francesco Maisano e Claudia Maria Piazza, che, tramite il fratello Giuseppe, hanno dichiarato al Quotidiano del Sud: «Dopo tre anni di sofferenze e di udienze Consolato finalmente può riposare in pace perché ha avuto giustizia. Anche se non c’è più, almeno chi gli ha fatto del male e ha reso orfano suo figlio di sette anni ha avuto la pena che si meritava».
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