Un palazzo distrutto a Kharkiv, in Ucraina
6 minuti per la letturaC’è una terza guerra da bandire assolutamente, tutta italiana. È quella del panico da talk che gestisce la guerra finanziaria con la stessa incompetenza con cui ha gestito la crisi economica legata al Covid. È quella della bassa speculazione che già ci segnalò al mondo con il cambio della lira in euro. In assenza di controlli il commercio minuto lucra sulla guerra come fu allora con il cambio. Nella giornata di ieri il petrolio è ridisceso sotto i cento dollari perché anche i mercati hanno capito che l’embargo europeo di gas e petrolio dalla Russia non ci sarà perché non si possono chiudere le due principali economie manifatturiere, Germania e Italia, e danneggiare anche tutte le altre. Il combinato disposto dei due irresponsabili comportamenti fa in modo che lo scenario da fare tremare vene e polsi, quello dell’arma letale della finanza contro il gas di Putin, diventa realtà senza esserlo incidendo sulle aspettative e sulla fiducia. Piccoli, miserabili, capolavori italiani.
Ci sono non una, ma tante guerre. Quella più importante che riguarda la libertà di un popolo sovrano, l’Ucraina, aggredita dalla Russia di un dittatore perché questo è Putin, lo è o lo è diventato non cambia. Oggi lui è il genocidio di donne e bambini che va scongiurato a ogni costo. Qui, o la Cina si muove o non c’è la pace. Qui, o gli Stati Uniti fanno un passo con la stessa Cina o la pace non c’è. L’Europa non può contare perché non c’è ancora in quanto non ha una politica estera. Questi sono i fatti, il resto è geopolitica da salotto. Oppure un dolore straziante che spesso non viene neppure rispettato perché si confondono i crimini di guerra con le sceneggiature di un film. Potremmo dire la realtà con la finzione.
La seconda guerra è quella finanziaria. C’è un grande sconfitto. Si chiama Vladimir Putin. Il rublo ha perso il 70%, i titoli sovrani russi sono carta straccia, il default dello Stato è già di fatto avvenuto, ma ancora di più l’isolamento mondiale sul piano finanziario e produttivo, la fuga inarrestabile di capitali e la povertà riconquistata. Non sappiamo quanto margine di autonomia ha la tecnocrazia, ma sappiamo che il congelamento delle riserve all’estero della banca centrale russa e tutte le altre sanzioni stanno mettendo a dura prova la tenuta delle donne e degli uomini del dittatore mentre intorno si moltiplicano gli atti di ribellione che uno stato di polizia come quello russo può stroncare e reprimere ma non impedire che si ripetano.
Questa guerra finanziaria ha come effetto collaterale una bolletta energetica da 9 miliardi per l’industria alimentare italiana a sua volta in forte tensione per gli approvvigionamenti dal granaio ucraino e un conto ancora più pesante per una serie di filiere produttive, dal Nord al Sud, che hanno diritto a compensazioni finanziarie certe e in tempi rapidi. Perché l’uscita dalla grande crisi globale legata al Covid iniziata così bene nel 2021 non si può fermare bruscamente nel 2022 e, siccome siamo un Paese che ha 2700 miliardi di debito pubblico, senza una crescita sostenuta ritorniamo nel circolo vizioso del ventennio precedente.
Per questo dobbiamo ridurre i rincari energetici e alimentari senza fare lo scostamento. Congelare l’aliquota marginale di IVA e accise legata ai maxi rincari energetici, 15 centesimi a litro. Colpire gli extra profitti resi ancora più evidenti dal criterio del prezzo marginale che obbliga a vendere un megawatt da fonte rinnovabile come quello da gas russo quando il primo che va a vento e sole non ha nessun extra costo da guerra. Fare approvare la nuova deroga europea agli aiuti di stato perché con il Covid abbiamo assorbito l’intero plafond e usare la cassa europea per le compensazioni energetiche.
Ovviamente meglio se si convincono anche gli olandesi che lucrano sui derivati delle materie prime e non vogliono sentire parlare di congelamento dei prezzi a essere della compagnia che vuole fare acquisti unici e emettere gli eurobond. Si agirà in due tappe: intervento su accise e rateizzazione subito, intervento sistemico con risorse italiane e, si spera, europee dopo il Documento di economia e finanza (Def) anticipato a fine mese. Questa è la nostra via obbligata.
Ogni volta che arriva una crisi, è bene capirlo una volta per tutte, le risorse pubbliche per noi hanno sempre un limite. Che è quello del debito pubblico perché se la crescita rallenta e il debito risale sono guai. Se la crescita italiana causa guerra finanziaria, nonostante un acquisito di Prodotto interno lordo (Pil) di +2,4% dal + 6,6% record del 2021, dovesse scendere sotto il 2%, allora è impossibile che inizi a risalire rispetto al Pil a inizio anno, ma di sicuro accade a fine anno. Questo, guerra o non guerra, non può accadere. Improvvisamente invece si gioca disinvoltamente con decine di miliardi di entrate senza rendersi conto che per sostituirle servirebbero altre tasse. Tutti parlano della tassa sull’Etiopia che con tutte le svalutazioni che sono poi venute vale un miliardesimo di centesimo mentre il blocco storico di accise è una cosa molto seria e vale 20/30 miliardi. Si può fingere di scoprire l’acqua calda e se ne può discutere a vario titolo, ma bisogna in ogni caso avere almeno in mente un sostituto che invece non si cita mai perché si dovrebbe riconoscere che si tratterebbe di altre tasse. Come dire: se non è zuppa è pan bagnato.
C’è, infine, una terza guerra, da bandire assolutamente, tutta italiana. È quella del panico da talk che gestisce la guerra finanziaria con la stessa prezzolata incompetenza con cui ha gestito la crisi economica legata al Covid e semina panico. È quella della bassa speculazione che già ci segnalò al mondo con il cambio della lira in euro. In assenza di controlli il commercio minuto lucra sulla guerra come fu allora con il cambio. Mi spiego con un esempio: se un chilo di farina raddoppia il prezzo perché il pane viene venduto non al doppio ma dieci volte di più? Tutto questo è immorale oltre che inaccettabile perché rischia di fare pagare al Paese un extra costo pesantissimo di cui non si sente proprio il bisogno.
Nella giornata di ieri il petrolio è ridisceso sotto i cento dollari perché anche i mercati hanno capito che l’embargo europeo di gas e petrolio dalla Russia non ci sarà perché non si possono chiudere le due principali economie manifatturiere, Germania e Italia, e danneggiare anche tutte le altre. Così come i mercati hanno capito che anche nel delirio criminale che lo ha colpito Putin non ha mai interrotto i contratti europei e, se non lo facciamo noi che non lo faremo, se ne guarderà bene dal farlo lui. Sempre i mercati e anche i previsori internazionali hanno capito la grande differenza che c’è tra oggi e la seconda crisi energetica degli anni Settanta. Perché quest’anno la nostra economia porta con sé il trascinamento del rimbalzone del 2021.
È evidente che l’impianto di finanza pubblica andrà comunque cambiato, ma per fare i conti con la catastrofe che ancora non c’è ma di cui tutti parlano bisogna solo continuare con il supertalk della guerra che rade al suolo l’economia italiana e la speculazione al minuto che fa affari sulla pelle degli italiani. Il combinato disposto dei due irresponsabili comportamenti fa in modo che lo scenario da fare tremare vene e polsi, quello della guerra lunga e soprattutto dell’arma letale della finanza contro il gas di Putin, diventa realtà senza esserlo incidendo sulle aspettative e sulla fiducia. Piccoli, miserabili, capolavori italiani. Da troncare sul nascere, se necessario, anche in malo modo perché non si può giocare con il futuro di un Paese.
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