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NONOSTANTE mi possa sedurre l’idea che io sia il continuatore di una storia familiare, in realtà tra il mio percorso e quello di mio padre esiste solo una coerenza culturale, come quella che si sviluppa in una intensa relazione affettiva e intellettuale.
Troppo tempo, infatti, intercorre tra la modernità che io da imprenditore devo interpretare oggi e le visioni che appassionavano mio padre.
Voglio dire che la mia impresa, così come quelle di molti altri imprenditori, sono troppo di rado il frutto di un sistema strutturato – scuola e impresa – che è stato capace di comprendere il verso del mondo e con lui mettersi in armonia.

Ma se questo é vero, é proprio a questo obiettivo che la nostra comunitá dovrebbe orientarsi. Perché non abbiamo altra scelta, se vogliamo che il futuro sia un tempo amico, un tempo nel quale ciascuno possa affermare la propria libertà di pensare e di agire. O, al contrario, si trasfiguri in una minaccia dalla quale proteggersi, così come, purtroppo, lo considerano oggi molti dei giovani che voi provate a educare, vincendo le vostre ansie di genitori e le vostre frustrazioni professionali.

Ricordo che un amico una volta mi disse che mentre mio padre si era appassionato al lato poetico dell’informatica, io mi ero occupato di quello più prosaico.
 
Sul momento ho pensato che tutto sommato fosse una sintesi arguta, ma poi, pensandoci bene, in quell’ immagine ho visto riflessa un’antica tara culturale e cioè il bisogno di classificare le attività intellettuali, separandole  in contesti e valori diversi: da un lato quelle più nobili, cioè prive di un interesse economico, dall’altro quelle orientate ad un profitto.

In virtù di questo approccio, quindi, la scuola dovrebbe occuparsi di produrre cultura e l’impresa di generare redditi. Separatamente.
Ma proprio questo approccio di danni, nel tempo, ne ha prodotti davvero tanti.
Per comprenderlo basta osservare lo sviluppo poderoso di quelle comunitá che hanno risolto questo dualismo mettendo in sinergia saperi e sviluppo economico. Mentre oggi, a noi tocca essere in apprensione per il futuro nostro e dei nostri figli.

Ciò nonostante, questa dura esperienza collettiva ci sta offrendo una nuova sensibilitá, insegnandoci a recuperare e apprezzare l’importanza di sentirsi una comunitá che si concepisce ed agisce come un sistema. In questo momento sperimentiamo cioè che la responsabilitá collettiva non é altro che la somma delle responsabilita individuali. E che lo stesso vale per le fragilitá messe a nudo dalla crisi economica.

E allora, in quale direzione dobbiamo concentrare le nostre energie? Oramai lo abbiamo compreso, le opportunità – oggi più che mai – vengono distribuite non solo in funzione dei capitali disponibili per una intrapresa, ma soprattutto in virtù della conoscenza che la scuola é in grado di produrre perché sia resa feconda attraverso la cooperazione con chi agisce per sviluppare l’economia.

Lo dico da imprenditore: le fondamenta dello sviluppo economico di una comunita risiedono nel sistema formativo. É vero, é stato sempre così da quando esistono le comunitá organizzate, ma oggi – e soprattutto nel futuro – la capacita della scuola di riconoscere, assecondare, guidare e incoraggiare i talenti ad essere curiosi e appassionati  rappresenta il vero discrimine tra quelle comunità che saranno capaci di disegnare il proprio futuro e quelle che subiranno le scelte fatte da altre; tra quelle comunitá che disegneranno le rotte su cui le giovani generazioni potranno proiettare con fiducia le proprie aspirazioni, le proprie capacita, le proprie competenze e quelle che potranno solo mirare alla sopravvivenza.

Anni fa ho visitato l’universitá di Standford, in California, e li ho capito di più sulle ragioni del successo di un ecosistema in cui scuola e impresa sono davvero due lati della stessa medaglia. Entrambe curiose di leggere il futuro ed interpretarne le traiettorie. Ciascuna con l’obiettivo di avanzare i confini del sapere e del fare. 

Che il motore di questo ecosistema sia il denaro è solo una verità apparente, azzardo che é quasi un effetto collaterale. La leva prodonda che muove le energie di questa comunità è la volontà di vivere da protagonista il tempo che le é dato. Ogni componente, dalla scuola, all’università, ai soggetti finanziari, agli imprenditori e ai corpi sociali si muove così nell’alveo dello stesso fiume.

Cosa possiamo fare di fronte alla nostra inerzia? Forse occorre uno shock.
Mi chiedo, e vi chiedo, se l’abolizione del valore legale del titolo di studio – ormai richiesta da tanti intellettuali – aiuterebbe a riconoscere l’importanza del metodo e degli strumenti per leggere una realtá profondamente cambiata e che di continuo si rinnova.
Riflettiamoci, un tempo le carriere erano lineari e prevedibili. Le professioni erano codificate e programmabili. Ma oggi è ancora così? 

L’azienda più capitalizzata del mondo, la Apple, é stata fondata da un signore che ha seguito una formazione assolutamente fuori dagli schemi, non è stato legittimato da alcun pezzo di carta, ma ha investito il suo tempo in studi che definiremmo multidisciplinari, se non – ad una lettura superficiale – addirittura approssimativi. Studi che però – al momento giusto – gli hanno consentito di comprendere prima di altri i nuovi bisogni prodotti con l’accelerazione tecnologica.

Eppure da solo Steve Jobs  non avrebbe conseguito gli stessi risultati. Perchè leggere questo mondo non è una sfida da singole genialità.

Le imprese, soprattutto quelle che operano nella tecnologia dell’informazione sono contenitori che danno forma a contenuti (curiosità – creatività – competenza – metodo) generati dal sistema dell’istruzione.

E se é vero che la cultura é ciò che rimane dopo aver dimenticato la nozione – come ripeteva spesso mio padre – allora i giovani che entrano nel mondo del lavoro dovranno portare con loro si un bagaglio di competenze, ma soprattutto di flessibilitá che li renda capaci di adattarsi ai continui cambiamenti. 

Oggi l’economia digitale e l’economia della conoscenza ci hanno messi su una rotta comune, scuola e impresa, genitori e figli, poveri di opportunità e possessori di privilegi, ormai sempre più evanescenti. Ogni istante che vive il mondo non e mai uguale al precedente. E noi con lui.
L’impresa che non cambia in armonia col mondo, prima o poi muore e con essa le speranze di chi sta investendo oggi sulle proprie competenze.  

E se la scuola non ci fornisce talenti capaci di leggere e adattarsi a questo mondo in cui sorgono e muoiono iniziative e opportunità, come mai nella nostra storia, se cioé la scuola abdica a questa sua funzione, se a cambiare non è quindi anche la scuola, a morire saranno le speranze di tutti noi.

Di questo ruolo essenziale vogliamo essere grati a voi docenti, pronti ad aiutarvi ad ottenere i riconoscimenti sociali e le gratificazioni che saprete meritarvi. Siamo nelle vostre mani.
Lo siamo soprattutto noi imprenditori della cosiddetta economia della conoscenza e per questo sentiamo la responsabilità di dovervi sostenere sempre e comunque. Perché col cuore, oltre che per i ritorni economici, siamo e saremo sempre dalla stessa parte. Che è quella della nostra comunità.

Voglio concludere con un auspicio. Che scuola e impresa non siano mai piu padre e figlio, poesia e prosa, ma fratelli che vivono nella contemporaneitá e siano insieme gratificati dalle sfide vinte, che parlano lo stesso linguaggio e usano gli stessi mezzi, le stesse tecnologie. 
Questa é la vera, unica sfida che ci attende in questa meravigliosa, affascinante discontinuitá della storia che ci ha regalato l’economia della conoscenza. 

Insomma, per dirla con un autore capace di sintesi folgoranti, Tagore, 
IL FLAUTO VA IN CERCA DEL SUONATORE CHE VA IN CERCA DEL FLAUTO.
Proviamo tutti a ricordarlo, sempre.

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