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Si muore di bombe, ma anche di mancanza di pane. Guerra e fame sono le facce della stessa medaglia. Con la guerra in Ucraina è arrivata l’ennesima spallata ai prezzi delle materie prime che stanno esplodendo. E mentre le borse crollano i prezzi di gas e petrolio, ma anche di grano, mais e soia si impennano. In una economia globale e connessa l’onda lunga dell’aumento dei listini coinvolge tutte le commodity.

In un solo giorno – fa sapere Coldiretti – il prezzo del grano ha raggiunto al mercato future della Borsa di Chicago 9,34 dollari a bushel, con aumento del 5,7% raggiungendo così il valore massimo da 9 anni, quello stesso che aveva innescato la miccia delle proteste del pane nel Nord Africa.

Nella spirale del caro prezzi finiscono anche mais e soia, fondamentali per l’alimentazione del bestiame. Secondo l’analisi di Cai-Consorzi agrari d’Italia alla prima quotazione del Matif di Parigi, borsa di riferimento per le materie agricole in Europa, il grano tenero è cresciuto del 16% (47 euro in più a tonnellata), mentre il mais ha messo a segno +12% (30 euro). Negli Stati Uniti le contrattazioni di grano tenero e mais sono state sospese per eccesso di rialzi.

E l’Italia trema. Con un tasso di inflazione che, secondo gli ultimi dati Istat, viaggia oltre il 4,8% un ulteriore aumento delle quotazioni potrebbe mandare in tilt il sistema produttivo e non solo agroalimentare. E con la guerra in corso in Ucraina ci sono tutte le condizioni per un default. Il nostro Paese è infatti dipendente dalle importazioni delle principali commodity ( e non solo gas), con un deficit del 64% per il grano tenero (che serve per pane e biscotti) e del 40% per quello duro (destinato alla produzione del nostro piatto principe, la pasta), mentre le coltivazioni nazionali di mais coprono non più del 53% del fabbisogno e quelle di soia si fermano al 31%.

E ancora, il latte italiano garantisce il 75% del prodotto richiesto e le stalle il 55% della carne consumata. Mentre produrre costa sempre di più e le aziende agricole stanno pensando a un rallentamento dell’attività poiché i prezzi non coprono i costi nonostante il carrello della spesa sia sempre più oneroso per i consumatori.

A incidere è l’aumento di tutti i fattori della produzione, dai fertilizzanti realizzati con materie prime di produzione estera, che hanno subito balzi del 100% al gasolio che serve per tutte le operazioni in campo. E naturalmente c’è il caro bollette che sta appesantendo i bilanci di tutte le aziende agricole. Anche il settore del vino, per esempio, ha calcolato un aggravio dei costi del 12 per cento. Tornando al grano con il raddoppio dei costi si profila una riduzione delle semine.

Da una prima analisi dell’Istat, infatti, emerge un calo per la nuova campagna dell’1,4% per il frumento duro trainato dalla diminuzione nel Sud e nelle Isole, dove si concentra la produzione (con la Puglia in prima posizione). È vero che sulle stime pesano i ritardi delle semine per le avverse condizioni climatiche che si sono registrate nelle regioni del Mezzogiorno e quindi alla fine il dato potrebbe essere rivisto al rialzo.

Ma c’è da dire che le quotazioni che hanno raggiunto alle Borse italiane (Milano, Bologna e Foggia) circa 520/550 euro a tonnellate allo stato attuale non sono sufficienti a garantire redditi agli agricoltori. I prezzi spuntati infatti sono inferiori a quelli del grano canadese coltivato con l’uso in preraccolta del glifosato, un diserbante chimico vietato in Italia. L’Ucraina poi è un protagonista di primo piano sulla scena mondiale delle commodity, dal mais con 36 milioni di tonnellate che la collocano al 5° posto del mondo, al grano tenero con 25 milioni di tonnellate (7° posto al mondo).

La Russia è il principale esportatore di grano duro nel mondo. Il rischio è che a peggiorare la situazione siano i processi speculativi già in atto con accaparramenti come quelli della Cina che sta rastrellando tutte le materie prime, a cominciare da quelle alimentari.

«La guerra – ha dichiarato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – sta innescando un nuovo cortocircuito nel settore agricolo nazionale che ha già sperimentato i guasti della volatilità dei listini in un Paese come l’Italia fortemente deficitario in alcuni settori strategici». Può sembrare quasi blasfemo, oggi mentre si cominciano a contare i morti, parlare di approvvigionamenti e costi delle materie prime. Ma non si può negare che quando le tavole sono vuote le tensioni esplodono.

E dunque le guerre generano guerre. L’Italia, ma l’Europa tutta, si trovano ad affrontare questa gravissima emergenza con sistemi economici già spompati dal Covid. E con l’esercito dei poveri rafforzato. L’organizzazione agricola aveva calcolato a dicembre oltre 4,8 milioni di poveri nel nostro Paese costretti a chiedere aiuto alle associazioni caritatevoli per mangiare e con l’ulteriore fiammata inflazionistica il rischio povertà è destinato ad aumentare. Un’indagine Censis /Coldiretti sulle abitudini alimentari post Covid aveva già segnalato l’impatto drammatico su una larga fascia di popolazione determinato da un “ritocco” dei prezzi. E secondo l’indagine quasi un italiano su 4 aveva espresso il timore che un aggravarsi della pandemia avrebbe potuto mettere a rischio l’approvvigionamento di cibo.

Ma se la guerra del Covid sembra vinta (o quasi), è scoppiata una nuova guerra destinata a lasciare lacerazioni ancora più profonde. Per ora mentre i riflettori sono puntati tutti sulle mosse militari non si può che attendere l’evoluzione degli eventi. Anche se questa guerra dentro la vecchia Europa è una ennesima lezione a cambiare prospettiva. E tanto per cominciare a pensare veramente ad attrezzare il Paese per una autosufficienza alimentare, puntando su filiere 100% italiane per garantire quantità e qualità del cibo e rassicurare così i cittadini. Per troppo tempo il grano è stato relegato tra i prodotti maturi. E perciò da abbandonare ai Paesi emergenti.

Ora le strategie stanno cambiando, l’agroalimentare è schizzato ai primi posti tra le “industrie” italiane, ma il Re si trova nudo. Ricostruire il patrimonio di materie prime non è facile anche se ora c’è la grande opportunità del Pnrr che ha stanziato più di 1,5 miliardi solo per le principali filiere, dal grano al latte. E intanto gli agricoltori si mobilitano anche per chiedere ai grandi della terra di deporre le armi. In molte piazze, dal Porto Antico di Genova a Piazza Libertà a Bari, oggi scendono gli agricoltori della Coldiretti, con le loro armi, trattori e mucche, per chiedere sostegno e pace.


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Fabio Grandinetti

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