L'auto su cui viaggiava l'infermiera
4 minuti per la letturaUn nuovo lavoro da poco più di due settimane e la voglia di impegnarsi in una grande struttura sanitaria a soli 18 chilometri da casa. In venti minuti Sara raggiungeva tutti i giorni Ceglie Messapica partendo dalla sua abitazione di San Vito dei Normanni lungo un percorso sempre uguale. Su quella stessa strada, ieri mattina, suo padre l’ha trovata ancora nella sua Renault Twingo bianca, senza vita, dopo aver urtato un palo ed essere finita in un campo a bordo strada.
Non l’aveva vista tornare dal lavoro, dopo due notti consecutive di lavoro e si era preoccupato, decidendo di uscire a cercarla. La tragica storia di Sara Viva Sorge, 27 anni, (dipendente del Presidio Ospedaliero di Riabilitazione ad Alta Specialità di Ceglie Messapica gestito dalla Fondazione San Raffaele, su un’area di 10 mila metri quadrati e 106 posti letto, ndr) è quella di tanti operatori sanitari che la pandemia impegna più del dovuto, in un lavoro delicato, di grande responsabilità e che di solito comincia quando si è ancora giovani ma che fa i conti con turni, peso del lavoro e stanchezza.
Sara era una infermiera e svolgeva una professione che in questi ultimi anni è diventata ancora più importante nella battaglia ancora in corso contro il Covid. Un lavoro, il suo, che non ammette incertezze, che lascia poche pause.
La sua tragica fine porta così ancora una volta allo scoperto il peso di una professione in cui nulla può essere lasciato al caso e che, proprio per questo, richiede lucidità e non dovrebbe prevedere turni pesanti. Dopo due notti ininterrotte al lavoro, ieri mattina poco dopo le 6,30, Sara voleva solo tornare a casa, ritrovare la sua vita e la sua famiglia. Saranno le indagini a chiarire perchè quel percorso ormai conosciuto, però, si è interrotto ai bordi di un campo mentre resta il dolore dei familiari, degli amici, dei colleghi e della comunità di San Vito dei Normanni.
Commentando la sua morte, Maurizio Bruno, consigliere regionale e presidente della Protezione civile pugliese ha detto: «Si è ritrovata a lavorare a ritmi sostenuti, in una situazione di difficoltà e stress già nota. Poco personale, soprattutto di notte, e tanti pazienti da seguire – ha aggiunto – Non possiamo sapere al momento quale sia stata l’effettiva causa di questa tragedia, ma un’infermiera che si mette in auto dopo due notti di lavoro consecutive è una persona più a rischio di chi torna da un posto di lavoro in ben altre condizioni».
Poco dopo la notizia della morte di Sara, la Cgil Funzione Pubblica e lo Sportello salute e Sicurezza Cgil di Brindisi hanno parlato di: «Una lavoratrice subito gettata nel mezzo di una situazione lavorativa complicata, con l’attenzione dovuta al paziente sempre da tener presente, ma che di notte viene affidata a meno personale, sempre meno negli ultimi anni secondo i dati in nostro possesso nella struttura. Spesso – hanno aggiunto – per una unità lavorativa si arriva a gestire dieci degenti con un carico di lavoro al limite, per questo è incomprensibile un turno di lavoro lungo e con due notti consecutive. Questo non può consentire il recupero psicofisico dovuto».
La morte di Sara Viva Sorge riporta alla mente la fine di Nicole Selvaggio, 24 anni, operatrice di Trani del 118, in servizio all’ospedale di Cerignola. Il 6 gennaio scorso, la sua auto, questa volta diretta verso il luogo di lavoro, si è ribaltata all’uscita dalla statale 16 bis e non le ha dato scampo. Il filo rosso ideale che unisce queste due giovani vite è quello che appartiene al mondo dei volontari, degli operatori sanitari, di chi ha dedicato gran parte del proprio tempo ad occuparsi della salute degli altri, soprattutto in un momento come quello che il Paese sta vivendo. Un dono che, però, è costato due vite.
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