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Van Eyck, “Ritratto dei coniugi Arnolfini” (1436)

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DA quanto tempo gli uomini si sposano? C’è un dipinto piuttosto famoso, realizzato dal pittore fiammingo Jan Van Eyck nel 1434: è il Ritratto dei coniugi Arnolfini. L’uomo e la donna rappresentati, riccamente abbigliati, sono mostrati nella loro camera da letto, mentre si rivolgono allo spettatore tenendosi per mano. Giovanni Arnolfini, dall’aspetto assai severo, sta compiendo un gesto cerimonioso con la mano destra, che può essere interpretato come giuramento. È probabile che i due stiano pronunciando la loro promessa di fedeltà matrimoniale alla presenza di testimoni. Gli Arnolfini non sono soli nella stanza. Un grande specchio alle loro spalle ci rivela che sono presenti altre due figure. Colpisce la sposa, che raccoglie sul ventre un lembo dell’ampio vestito: gesto di buon auspicio che allude alle future gravidanze, come il colore verde dell’abito, a simboleggiare la fertilità.

Più indietro nel tempo, uno dei capolavori più conosciuti dell’arte antica è il Sarcofago degli sposi, opera etrusca del VI secolo a.C. La scultura raffigura una coppia di sposi, sdraiati su un triclinio, probabilmente a un banchetto, stretti in un tenero abbraccio mentre stanno per bere del vino. Uno dei momenti più belli della quotidianità, che si voleva protrarre anche dopo la morte. È una scena di vita e insieme di intimità, riprodotta sul sarcofago che conteneva i resti dei defunti, uniti anche nell’aldilà.

Ma è possibile andare ancora più indietro, fino a rintracciare una pittura rupestre in Val Camonica. Un uomo e una donna ritratti con accanto i loro due bambini. Ciò che attrae lo spettatore è la linea simbolica che unisce i piedi di marito e moglie come un giogo. È questo il significato di “con-iugi”: uniti dal giogo, dunque legati stabilmente.

Gli uomini si sposano dalla preistoria. Gli archeologi hanno osservato che fino al Paleolitico medio (duecentomila-cinquantamila anni fa) i villaggi presentavano ancora la struttura del clan, ma con il Paleolitico superiore, quarantamila anni fa, tutto cambia: le case sono disposte in circolo e ognuna è piccola, chiaramente adatta ad accogliere un solo nucleo.

L’uomo e la donna pur rimanendo nel gruppo hanno sentito il bisogno di isolarsi. Per un senso di sopravvivenza: la donna doveva essere protetta e aveva bisogno che il suo uomo, stabilmente, in rapporto fiduciario, procurasse il cibo mentre era gravida e allattava. Il passaggio successivo è la gratificazione, il senso d’appartenenza, lo star bene insieme senza sentire il bisogno di altre relazioni. I più diversi rituali per unirsi erano sempre religiosi. Il matrimonio è nato come sacralizzazione dell’unione tra due persone, rigorosamente di sesso diverso.

Il risultato delle analisi condotte dimostra che solo le società in cui è avvenuto questo passaggio – dal clan al nucleo – si sono evolute, tutte le altre si sono estinte. Da esigenza antropologica, il matrimonio nei millenni è divenuto parte integrante della nostra cultura, globalmente intesa e declinata secondo modi e forme differenti. C’è il matrimonio religioso, quello civile, quello imposto, quello combinato, quello poligamico, quello tra persone dello stesso sesso. Il matrimonio ha acquisito nel tempo significati nuovi: giuridici, economici, sociali.

Basta pensare all’origine etimologica della parola in sé: il matrimonio presso i Romani è il dovere della madre di dare ai figli un padre legittimo (il marito) e fa il paio con la parola “patrimonio”, cioè il dovere del padre di lasciare ai figli un’eredità. Questo dice moltissimo di come un comportamento nato spontaneamente tra gli uomini per senso di sopravvivenza si sia imbevuto nel tempo di tutt’altri elementi che hanno finito per prendere il sopravvento. Per primo fu il diritto romano a dare riconoscimento e corpo al complesso delle situazioni socio-patrimoniali legate al matrimonium, facendo discendere effetti civili da una situazione di fatto: allora i presupposti del matrimonio erano la convivenza dell’uomo e della donna e la capacità di agire degli sposi.

Il matrimonio era sempre contraddistinto da rituali. Il  cristianesimo fece propria questa usanza e introdusse la figura del sacerdote. Rimase l’essenzialità dello scambio del consenso. La cerimonia cristiana restò a lungo una semplice benedizione degli sposi. Col Concilio di Trento venne disciplinata dal  diritto canonico, mentre nei Paesi protestanti cominciò a diffondersi l’esigenza di una celebrazione avente effetti civili, distinta dal matrimonio religioso. In Italia, con l’entrata in vigore del codice civile del 1866 fu riconosciuto valore giuridico unicamente al matrimonio civile. Chi sceglieva anche il rito religioso lo celebrava precedentemente o successivamente a quello.

A seguito del Concordato del 1929 tra l’Italia e la Santa Sede, poi rivisto nel 1984, si stabilirono le clausole da rispettare perché un matrimonio celebrato con rito cattolico potesse essere trascritto dall’ufficiale di stato civile e produrre gli effetti riconosciuti dall’ordinamento giuridico italiano.

A dirla tutta, dati statistici alla mano, a oggi i matrimoni più stabili sono quelli celebrati con rito religioso: con una probabilità di durata significativamente più alta, quasi doppia, rispetto ai matrimoni civili. Pare si senta maggiormente la responsabilità del “per sempre” pronunciato dinnanzi a un ministro di culto. Il matrimonio regolato dalla legge è un contratto che sancisce diritti e doveri dei coniugi, anche nel momento in cui decidono di porvi fine.

La stessa legge definisce i rapporti economici tra gli sposi, inevitabile conseguenza di una vita in comune e aspetto certamente non trascurabile quando capita che essa cessi di esserlo e che le strade di marito e moglie si dividano. Il matrimonio è anche un modo per sentirsi “normali” e seguire un percorso di vita condiviso socialmente.

È innegabile che sposarsi, pur non modificando nulla all’interno della relazione che due conducono da anni, magari conviventi da tempo immemore e con figli, serva a ufficializzare in qualche modo l’unione presso terzi. Nel 2022 ci si sposa perché culturalmente abbiamo introiettato attraverso i millenni che due persone che si amano, che stanno bene insieme e che condividono la quotidianità stabilmente e che desiderano continuare a farlo, allora si sposano. Poi ci si può sposare per un’infinità di altri motivi più o meno edificanti: avere una casa propria, per una scalata sociale, vivere a spese di qualcun altro e tristemente, anche perché non si ha altra scelta. Ma se il motivo è il primo, quello che deriva dalla nostra cultura: due persone si sposano perché stanno bene insieme, si amano, condividono stabilmente la quotidianità e progettano di continuare a farlo, allora una domanda per nulla banale trova una risposta per niente scontata.

Ma che bisogno hanno due persone di sposarsi nel 2022? Oggi che i figli sono legittimi anche se nati al di fuori del matrimonio, che anche la convivenza implica diritti e doveri che prescindono da un sì pronunciato sull’altare, sposarsi è la risposta istintiva a un bisogno profondo, radicato nell’essere umano dalla preistoria e declinato attraverso i millenni in un’infinità di sfumature culturali: un tributo che ancora paghiamo alla specie per senso di sopravvivenza.


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