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REGGIO CALABRIA – Leggere le quasi 300 pagine che motivano la condanna dell’ex sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti, è come scorrere un film già visto. Ne viene fuori un quadro poco edificante. E non solo per quello che viene descritto come un amministratore “despota”. Quanto per lo scenario di silenzi, di timori, di paure che gli hanno consentito di governare la città per un decennio e persino dopo essere diventato presidente della regione. Lo scrive nero su bianco il Tribunale, presieduto da Olga Tarsia che lo ha condannato in primo grado a 6 anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici.

LA SCHEDA: LA CONDANNA INFLITTA A SCOPELLITI

Per i giudici che un anno hanno sentito testimoni, esperti, consulenti sul “caso Fallara” la certezza che si ricava va anche oltre le responsabilità dell’ex sindaco. Perché “Della situazione drammatica del comune di Reggio Calabria tutti erano perfettamente al corrente, compresi gli Assessori, il Sindaco, il Direttore Generale, i consiglieri comunali, i dirigenti e i revisori dei conti”. E questo “sia perché era evidente ictu oculi (praticamente sotto gli occhi di tutti, ndr) lo stato di profonda crisi che aveva colpito quell’amministrazione, sia perché, come emerso da più deposizioni, se ne parlava apertamente nell’ambito della Giunta, del Consiglio comunale e delle riunioni tra
dirigenti”. 

Tutti sapevano e tutti tacevano. Come d’altra parte in molti hanno taciuto anche durante il processo fornendo ricostruzioni parziali e spesso contraddittorie. E questo nonostante sia una vicenda che, per dirla con le parole dei giudici, “senza esagerazioni ha devastato la città di Reggio Calabria”. Una vicenda che da “l’idea di una amministrazione solo formalmente in regola, ma sostanzialmente dissestata e orientata verso il perseguimento di obiettivi parziali, colorati personalisticamente e motivati da una forte tendenza a soddisfare l’elettorato del Sindaco del tempo e a garantirne l’ulteriore carriera politica”. Di questo si tratta, di clientele e falsi, di imbrogli nascosti tra le maglie del Bilancio e del tentativo, emerso durante il dibattimento di addossare la colpa solo ed esclusivamente sulle spalle di Orsola Fallara, l’ex dirigente del settore finanze morta suicida a dicembre del 2010.

Una donna che ha avuto certamente molte colpe, ma che era sempre secondo la sentenza, “lo schermo dietro il quale agiva il Sindaco Scopelliti che aveva voluto fortemente la stessa quale dirigente di un settore strategico dandole la possibilità di portare avanti, nel dissenso di buona parte dell’amministrazione, la linea politica da lui perseguita”. Grazie ad un “rapporto di adesione/subalternità”.

La Fallara, “che appariva come una donna potentissima che gestiva le sorti del comune di Reggio Calabria, in realtà era una perfetta esecutrice di direttive precise che provenivano dal Sindaco Scopelliti, che, tramite lei, ha creato un sistema accentrato su se stesso esautorando di fatto tutti coloro che avrebbero potuto ostacolarlo (cioè i dirigenti non asserviti al suo dominio e gli Assessori che eventualmente avessero voluto svolgere le loro funzioni correttamente)”. Un “disegno criminoso non si sarebbe potuto realizzare senza il concorso dei revisori contabili Carmelo Stracuzi, Domenico D’Amico e Ruggero De Medici (anche essi condannati), nominati dallo stesso Scopelliti”.

Non ci sono dubbi per il Tribunale “Non possono essere attribuiti ad essi significati alternativi, posto che le risultanze processuali che dimostrano che la conduzione autoritaria della dottoressa Fallara era pilotata in toto dal Sindaco del tempo, il quale ha continuato ad interferire nell’attività dell’ente anche dopo la nomina regionale. Dunque, è possibile affermare che la Fallara è stata l’utile e spregiudicato strumento nelle mani di chi aveva tutto l’interesse a occultare le spese dell’ente fatte senza rispettare i meccanismi del bilancio, al fine progettare ed attuare programmi asimmetrici che nulla avevano a che vedere con l’interesse collettivo ma che avevano una forte colorazione personalistica e privatistica evidentemente orientata a riscuotere consenso sociale a fini elettorali”. E ancora “l’ideatore delle falsificazioni contabili fosse il Sindaco Scopelliti, il quale si è avvalso della accondiscendenza della Fallara per attuare la sua linea politica travalicando e stravolgendo la netta separazione che dovrebbe essere demarcata tra livello politico e livello manageriale nelle pubbliche amministrazioni”. 

Per i giudici “Fallara eseguiva fedelmente tutto ciò che le veniva ordinato dal Sindaco e quest’ultimo la ricompensava con lauti incarichi (in particolare, quelli di rappresentanza dell’ente davanti alle commissioni tributarie). Il tutto ovviamente blindando il loro operato impedendo ai dirigenti e alle opposizioni di accedere al bilancio analitico, rimuovendo gli assessori riottosi (come Veneziano), o utilizzando la “distrazione” di alcuni di costoro, il cui comportamento può essere qualificato quantomeno in termini di deliberate indifference”. Facevano insomma finta di non vedere. Certo Scopelliti ha fatto quello che ha fatto, ma la verità è anche un’altra. Tutto ciò gli è stato concesso, da chi ha preferito nella migliore delle ipotesi girarsi dall’altra parte e tacere facendo, assistendo impassibili alla distruzione della città.

 

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