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È bastato cancellare l’equiparazione alle modalità produttive biodinamiche e il disegno di legge che regola l’agricoltura biologica ha ottenuto ieri il lasciapassare alla Camera. Il relatore della proposta di legge, Pasquale Maglione (M5S), era convinto che, spazzato il campo dalla legge di Bilancio e dalla nomina del presidente della Repubblica, il Parlamento avrebbe affrontato in tempi stretti il tema del biologico. E così è stato. Anche se l’iter è partito in salita, e senza il colpo di spugna sulle produzioni biodinamiche il provvedimento si sarebbe arenato.
TUTELA DEL MADE IN ITALY
Tutto questo, nonostante il mantra sia di produrre green. Ora l’ultima “prova” al Senato: lì si capirà se la questione biodinamica, che ha tenuto in scacco la nuova normativa, è di forma o di sostanza. Certo non si potevano ignorare gli interventi di scienziati di primo piano che avevano impallinato il riferimento a tecniche produttive bollate come «stregonerie».
Anche se forse è molto più stregonesco interrare scorie pericolose per la salute che elementi organici che male al terreno non fanno. E non è mancato il “fuoco amico” di una parte del mondo agricolo. Comunque, raggiunto il primo risultato, ora l’appello della politica e del mondo produttivo, con Coldiretti in prima linea, è uno solo: fare presto al Senato.
C’è però da precisare che dei tre riferimenti all’agricoltura biodinamica ne è stato cancellato uno solo. E in ogni caso, se il motivo del contendere era quello di concedere contributi a chi sotterra nei campi “corni di vacche” o segue le fasi della luna, bisogna però, per correttezza, ricordare che i soldi questi imprenditori li incassano comunque come produttori biologici. Si tratta, infatti, di una sparuta pattuglia, non più di 4mila operatori, che destinano una piccola parte dei terreni coltivati a bio per realizzare prodotti che peraltro sono sempre più richiesti dai consumatori.
Al di là delle polemiche, resta l’importanza di una legge finalizzata a qualificare sempre di più le produzioni biologiche rafforzando i controlli e tutelando il vero made in Italy, tenendo conto che oggi l’Italia ricorre a ingenti quantitativi di materie prime importate da Paesi terzi che non offrono le stesse garanzie di salubrità delle coltivazioni nazionali.
LE NOVITÀ
Tra le principali novità, il marchio bio per i prodotti ottenuti da materia prima italiana, un Piano nazionale per agevolare la conversione al biologico, misure per favorire le filiere e i bio distretti, finalizzati anche a sostenere le attività multifunzionali collegate alla produzione biologica, e ancora, incentivi per la ricerca e un piano nazionale delle sementi bio.
La legge, va ricordato, è in linea con le strategie comunitarie del Green Deal e della nuova Pac (Politica agricola comune) e del Piano nazionale di ripresa e resilienza che ha stanziato 300 milioni per sostenere contratti di filiera e distretti bio. Anche perché l’obiettivo indicato da Bruxelles è di raggiungere nel 2030 il 25% dei campi bio. Si tratta, tra l’altro, di una grande opportunità per il Mezzogiorno che oggi detiene la palma del biologico, dimostrando così di aver intrapreso una scelta agricola d’avanguardia improntata alla piena sostenibilità.
IL SUD TIRA LA VOLATA
L’Italia, prima nella Ue con il 16% della Sau, stacca la Spagna (10,1%), la Germania (9,07%) e la Francia (8,06%). Oltre 2 milioni di ettari, quasi 90mila operatori, consumi in crescita come l’export che ha raggiunto 2,6 miliardi. A tirare la volata sono le regioni del Sud, dalla Sicilia (370mila ettari) alla Puglia (266mila ettari), fino alla Calabria, dove è bio un campo su tre. La partita della transizione ecologica, dunque, si gioca soprattutto su biologico e agro energie.
Ma il problema sono le importazioni. Nel confronto con i prodotti bio stranieri, realizzati a basso costo, il made in Italy è poco competitivo se non dispone di armi per comunicare correttamente la sua distintività e qualità. La Coldiretti ha rilevato in uno studio che gli acquisti sui mercati terzi hanno segnato una crescita del 13%, per un totale di 210 milioni di kg di prodotti, di cui quasi un terzo dall’Asia.
Si tratta di cereali, frutta fresca e secca e colture industriali, ma anche olio e agrumi. E in una fase positiva per i consumi gli agricoltori italiani non possono perdere questa occasione.
CONSUMI IN CRESCITA
«Con gli acquisiti di prodotti bio made in Italy che nel 2021 hanno sfiorato il record di 7,5 miliardi di euro di valore, tra consumi interni ed export – dice il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini – mai come in questo momento storico abbiamo bisogno della legge sul biologico e per questo va accelerato l’iter al Senato. Un provvedimento fortemente sostenuto dalla Coldiretti che, con Codacons, Federbio, Legambiente e Slow Food, si è impegnata per rispondere alle attese di produttori e consumatori che si avvicinano sempre più al biologico».
Nell’ultimo decennio – rileva uno studio dell’organizzazione – le vendite bio totali sono più che raddoppiate (+122%) e il successo nel carrello sostiene l’aumento della produzione nazionale, fornendo una spinta al raggiungimento degli obiettivi della strategia Farm to Fork del New Green Deal che punta ad avere almeno 1 campo su 4 dedicato al bio in Italia. D’altra parte già oggi il 64% degli italiani mette prodotti “ecologici” nel carrello, e a questi consumatori bisogna offrire informazioni precise su quello che portano in tavola. E per questo scopo saranno importanti le piattaforme digitali, previste dalla normativa, per garantire una piena informazione circa la provenienza, la qualità e la tracciabilità dei prodotti con una delega al governo per rivedere la normativa sui controlli e garantire l’autonomia degli enti di certificazione.
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