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Ventiseimila posti a rischio subito, 73mila sino al 2035: l’automotive italiano è a rischio e ieri il dossier è stato al centro di una riunione, durante due ore e che si è svolta a Palazzo Chigi, presieduta dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli, e alla quale hanno partecipato i ministri dell’Economia, Daniele Franco, delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili, Enrico Giovannini, dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, e il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.
Sullo stato di salute dell’automotive è scattato nei giorni scorsi l’allarme di Federmeccanica e Fim Fiom e Uilm, che hanno fatto fronte comune, presentando un manifesto unitario sul grave rischio deindustrializzazione che potrebbe seguire ad una transizione energetica mal governata.
Ma è dal Sud che può e deve ripartire la rinascita che può trainare tutto il Paese: il governo e Stellantis hanno trovato l’accordo per la realizzazione a Termoli della terza gigafactory del gruppo in Europa. Un investimento di circa due miliardi e mezzo a fronte di 370 milioni che dovrebbero essere garantiti dallo Stato. Una inversione di rotta, dopo decenni di investimenti al Nord che hanno desertificato dal punto di vista industriale il Mezzogiorno. Soldi che produrranno finalmente sviluppo, non assistenzialismo e che avranno ripercussioni positive per l’intero Paese che potrà ripartire. Il Nord dell’Italia ne trarrà grande giovamento, così il sogno di anni di crescita da miracolo economico potrà diventare realtà.
A luglio scorso, il ceo Carlos Taveres annunciò che Stellantis avrebbe investito oltre 30 miliardi di euro entro il 2025 nell’elettrificazione e nel software. L’impegno su Termoli, dopo Douvrin in Francia e Kaiserslautern in Germania, rientra in questa partita, che ha come obiettivo garantire che i veicoli elettrificati arrivino a rappresentare oltre il 70% delle vendite in Europa e più del 40% di quelle negli Stati Uniti, entro il 2030.
L’investimento su Termoli potrà garantire un futuro industriale a uno dei tre poli italiani di Stellantis. “Finalmente l’accordo tra Stellantis e governo c’è e si sono definite le modalità per la realizzazione a Termoli della terza gigafactory del Gruppo in Europa”, ha esultato la segretaria generale della Uil, Tecla Boccardo. Dunque, a Termoli, per avviare questa nuova produzione, si trasformeranno le vecchie meccaniche, dove ora si realizzano motori tradizionali e ibridi, in una gigafactory che garantirà innanzitutto continuità occupazionale agli oltre 2.400 dipendenti ma lo stabilimento molisano potrà anche incrementare il numero di addetti.
Anche lo stabilimento Stellantis di Melfi va verso un consolidamento dei volumi produttivi che, a partire da marzo, saranno all’incirca pari a 30mila vetture al mese, una condizione che porterà all’azzeramento degli ammortizzatori sociali. Dallo scorso 24 gennaio a Melfi è aumentata la produzione, passando da 15 a 17 turni settimanali. Ci sono 73mila posti a rischio e bisogna correre, anche perché il mercato sta affrontando i colli di bottiglia: la carenza di chip, essenziale per l’assemblaggio delle auto, e i problemi logistici che hanno smorzato le speranze di una ripresa duratura. Soffrono tutte, anche le principali case costruttrici del settore: la numero uno in Europa Volkswagen perde il 4,8% con 2,4 milioni di auto vendute.
Secondo gli ultimi dati dell’Associazione europea dei costruttori di automobili (Acea), lo scorso anno nell’Unione europea sono stati venduti 9,7 milioni di veicoli: si tratta del dato più basso registrato dall’inizio delle serie statistiche nel 1990, inferiore al 2013 e al 1993, già anni bui per l’industria automobilistica. Soffre l’intero indotto: solo a Bari Bosch ha annunciato 700 esuberi su 1700 dipendenti, altrettanto ha dato Marelli holding che entro giugno taglierà 550 posti di lavoro su 7.900. Ieri c’è stata una prima riunione di “ricognizione” tra i ministeri interessati, per arrivare a “coordinare” gli interventi sulla filiera dell’automotive ma anche della mobilità, con l’impegno a rivedersi al più presto, entro una decina di giorni.
Nel corso della riunione si sarebbe evidenziato che il settore è in sofferenza e ha bisogno di interventi “urgenti” ma anche “coordinati” tra loro. Ogni ministero ha illustrato le problematiche legate sia alle trasformazioni in corso per il comparto automotive sia per la mobilità e si sarebbe convenuto sull’opportunità di individuare una “strategia nazionale” attraverso la quale coordinare non solo gli interventi ma anche l’utilizzo dei vari fondi a disposizione, da quelli stanzianti con l’ultima manovra al Pnrr fino al Fondo per lo sviluppo e la coesione. Il Mise, il dicastero maggiormente coinvolto, avrebbe messo sul tavolo la richiesta di una politica di incentivi stabilizzati, almeno un anno, per far ripartire urgentemente la produzione: una proposta che in termini di risorse prevedrebbe 1,5 miliardi di euro per l’acquisto di auto e la contemporanea possibilità di una rottamazione per un anno.
Ma la discussione non si è focalizzata solo sulle risorse: ogni ministero avrebbe dato la sua visione convenendo di fatto sulla necessità di utilizzare lo strumento degli incentivi alla ricerca, comunque, di una visione comune e di una strategia complessiva. Il governo, insomma, prepara il piano per l’auto, la questione è centrale nell’agenda dell’Esecutivo Draghi.
Al centro dell’attenzione del governo non c’è soltanto il ripristino degli incentivi per l’acquisto di auto elettriche, ma anche misure come i contratti di sviluppo, gli accordi di innovazione, misure per il trasferimento tecnologico, fondi Pnrr su ricerca e Ipcei, importanti progetti di comune interesse europeo. Sono strumenti che il ministro Giorgetti, nel tavolo con le associazioni del settore, ha messo a disposizione anche della filiera auto. In discussione c’è anche il tema delle infrastrutture di ricarica che coinvolge i ministri Giovannini e Cingolani. E c’è la questione ammortizzatori sociali, visto che nel 2019 sono state utilizzate 26 milioni di ore di cassa integrazione, nel 2021 quasi 60.
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