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Anna Maria Scalise e Angelo Salinardi

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POTENZA – Dodici capi d’imputazione, e 21 imputati, 16 dei quali agli arresti domiciliari da ieri mattina. Sono questi i numeri principali dell’inchiesta sul “paese dei 2 sindaci” che ieri si è abbattuta sul comune di Ruoti, con appendici a Potenza, Ruvo del Monte, e Sommariva del Bosco, in provincia di Cuneo.

LA PERSECUZIONE DELLA SINDACA

Un primo capo d’imputazione per atti persecutori ai danni della sindaca Anna Scalise coinvolge Salinardi con la tenente della polizia locale Marianna Di Maio, il consigliere comunale di minoranza Rosario De Carlo, la nipote dell’ex sindaco Giuseppina Salinardi, l’ex consigliere regionale Luigi Scaglione e l’ex impiegato comunale Gerardo Scavone.

A loro i pm contestano di aver presentato: «personalmente o tramite avvocati (tutti remunerati dal Salinardi) decine di denunce penali del tutto infondate, ma capziose, sia nei confronti del sindaco Scalise che dell’assessore Gentilesca Franco, con lo scopo di danneggiarne la reputazione, arrecarle uno stato d’ansia ed un senso di vulnerabilità, rallentarne c/o paralizzarne l’attività amministrativa ed ottenerne le dimissioni (onde andare a nuove elezioni e far amministrare nuovamente il Comune di Ruoti a Salinardi Angelo o a persona di sua fiducia)».

Ma nella stessa imputazione si fa anche riferimento alla «divulgazione e diffusione con molteplici modalità (comunicati stampa e pubblicazioni online), di infamanti allusioni a relazioni adulterine, create ad hoc, per screditarne l’immagine (come avvenuto per la fantomatica relazione extraconiugale tra la Scalise e l’assessore Gentilesca Franco e i loro presunti incontri notturni presso un B&B di Rionero in Vulture (Pz), risultati mai avvenuti); nell’insultarla volgarmente e insistentemente nel corso di diversi consigli comunali; nell’effettuare, e far effettuare, “indagini” illecite, pedinamenti e report fotografici nei confronti del sindaco Scalise, di suo marito e dell’assessore Gentilesca».

In un secondo capo d’imputazione a carico di Salinardi e altri 3 consiglieri comunali indagati a piede libero, Antonio Acquavia, Angelo Damiano e Rocco Carlucci, invece, si ipotizza un abuso d’ufficio risalente al 2016, quando Salinardi era ancora in carica come primo cittadino. Abuso che sarebbe consistito nell’aver contestato «una inesistente causa d’incompatibilità per conflitto d’interesse al consigliere comunale Franco Gentilesca», e poi aver deliberato la sua sospensione dall’incarico elettivo. Sospensione che in seguito sarebbe stata annullata dal Tribunale.

Un terzo capo d’imputazione nei confronti di Salinardi, De Carlo, e altri due consiglieri comunali di minoranza in carica, Angelo Faraone e Rocco Gentilesca (solo omonimo di Franco, ndr), ancora, riguarda le presunte calunnie ai danni della sindaca Scalise, che sarebbe stata denunciata, ingiustamente, per aver avvantaggiato i genitori dell’assessore Gentilesca in relazione agli strascichi di un contenzioso col Comune, e una serie di altre presunte condotte illegittime. Inclusa la distribuzione dei buoni covid «al fine di avvantaggiare i loro elettori e “clienti” a discapito dei cittadini realmente bisognosi». Sebbene alcune delle denunce, considerate calunniose, risultino indirizzate anche all’assessore Gentilesca in persona, e alla segretaria comunale, Maria Antonietta Musco.

Nei confronti di quest’ultima, in particolare, viene citata una querela di falso rispetto al verbale di un’infuocata seduta del consiglio comunale in cui Salinardi e De Carlo vennero espulsi dopo aver fatto allusioni a «relazioni clandestine» tra la sindaca e l’assessore Gentilesca. Ma la caccia alla prova della presunta infedeltà compare anche in un ulteriore capo d’imputazione, per accesso abusivo a sistema informatico, a carico di Salinardi, della nipote Giuseppina, e del vice brigadiere dei carabinieri, Davide Malatesta, in servizio al comando regionale dell’Arma.

IL CARABINIERE AMICO E LA BONIFICA DALLE MICROSPIE

Tra gennaio e febbraio del 2020, infatti, ex sindaco e nipote avrebbero convinto il brigadiere a controllare se Scalise fosse mai stata ospite di un affittacamere di Rionero con Gentilesca. Controllo avvenuto tramite altri 2 carabinieri coinvolti da Malatesta, ma del tutto inconsapevoli delle reali ragioni della sua richiesta, che avrebbero convinto la titolare dell’affittacamere a recuperare i dati sugli ospiti dal sistema informatico del Ministero dell’Interno.

Malatesta è accusato anche di depistaggio e favoreggiamento per aver rivelato a Giuseppina Salinardi delle indagini sullo zio. Tanto che a un certo punto sarebbe scattata la bonifica di macchine e uffici dell’ex sindaco dove si sospettava la presenza di microspie. Bonifica affidata da Scaglione a un dipendente dell’ufficio Informazione, comunicazione ed eventi del Consiglio regionale, che lui stesso aveva guidato tra il 2016 e il 2019, Giuseppe Antonio Lavano.

A luglio del 2020, quindi, Lavano, e l’ex dipendente del Comune di Ruoti, Scavone, si sarebbero incontrati nel garage di Scaglione per controllare la Fiat Panda di Salinardi. E dopo aver trovato la microspia piazzata dagli agenti della Squadra mobile di Potenza, avrebbero deciso di lasciarla lì con l’intento di inscenare, nei giorni successivi: “conversazioni dal contenuto artificiosamente creato in senso favorevole alla loro difesa”.

LE MAZZETTE E L’INDOTTO STELLANTIS

Fin qui le accuse del filone “politico” dell’inchiesta. Poi c’è quello sui subappalti dell’indotto Stellantis, che secondo i pm sarebbero stati condizionati da una vera e propria associazione a delinquere specializzata nella corruzione tra privati, composta da Salinardi, il nipote Pierluigi Saponara, il patron del gruppo Aptiv (componentistica per auto), Alessandro Massano, il figlio di quest’ultimo, Marco Massano, e il direttore dello stabilimento “Melfi 3” di Bcube (logistica), Claudio Di Lucchio, di Ruvo del Monte. Associazione che avrebbe garantito “26” commesse tra il 2014 e fine 2020 alle ditte riconducibili a Salinardi (“Logistica Meridionale srl. Logivultur srl, Servizi Gestione Logistica srl. Logistica Cassino Srl, Loginord srl, operanti nell’indotto Fca di Venaria (To), Cassino (Fr) e Melfi (Pz)”) in cambio di “mazzette” e altre “utilità” per i Massano e Di Lucchio. Come auto, ricariche di carte di credito, e “pagamento di dipendenti privati”.

Salinardi è accusato di aver corrotto anche il segretario regionale della Uilm, Marco Lomio, assumendo la moglie, a cavallo tra il 2019 e il 2020, alle dipendenze di alcune delle società a lui riconducibili in cambio della sua «messa a disposizione sia per la risoluzione di problematiche sindacali in favore delle sue aziende, sia omettendo e/o ritardando i doverosi compiti di tutela dei lavoratori in relazione al rispetto della contrattazione collettiva in materia di stipendi, orari e turni di lavoro».

In un altro capo d’imputazione, però, è Salinardi il presunto corrotto, per aver ricevuto “mazzette” di «1.000/2.000 euro» mensili, quando era ancora in carica come primo cittadino, dall’imprenditore di Balvano, Giuseppe Teta, responsabile del gruppo di residenze per anziani, Il Sorriso, che gestisce una struttura anche nel comune di Ruoti. Mazzette che avrebbero propiziato provvedimenti amministrativi «tanto illegittimi, quanto vantaggiosi» per la società di Teta, compiuti materialmente da Salinardi e da un altro dei suoi nipoti, Rosario Famularo, responsabile dell’ufficio tecnico del Municipio. Come l’affidamento diretto della casa di riposo di piazza Mercato.

IL DOSSIERAGGIO ANTI-POLIZIA

Gli ultimi due capi d’imputazione, infine, riguardano un’ipotesi di atti persecutori e di calunnia nei confronti del capo degli investigatori della sezione pubblica amministrazione della squadra mobile di Potenza, l’ispettore Pasquale Di Tolla.

Dopo la scoperta delle indagini in corso, infatti, Salinardi, il fedelissimo Scavone e una terza persona indagata a piede libero, Emiliano Tedesco avrebbero preso di mira l’ispettore: «pedinandolo, fotografando la sua auto, osservandone gli spostamenti, controllando i suoi accessi al comune di Ruoti per motivi investigativi». E ancora: «interferendo nelle indagini da lui svolte nel presente procedimento», e «avvicinando i suoi colleghi per chiedere degli accertamenti in corso owero con l’intento – velatamente minatorio – di fargli sapere che erano a conoscenza dei suoi rapporti con una collega della stessa Questura (con la quale l’ispettore ha un rapporto di convivenza)».

Nella denuncia considerata calunniosa, invece, Di Tolla sarebbe stato accusato di indagare sul conto di Salinardi «per vendetta personale» perché l’ex sindaco, «secondo la falsa ricostruzione prospettata», non avrebbe aderito alla richiesta «di far superare alla compagna dell’ispettore e alla di lei sorella un concorso pubblico per agente di polizia municipale», nel 2009.

Il tutto nonostante la compagna di Di Tolla non si fosse nemmeno presentata alla prova scritta, dopo un primo annullamento della procedura, sulla base di «una ben premeditata attività di dossieraggio posta in essere dal Salinardi con il contributo attivo dello Scavone finalizzata proprio alla raccolta di elementi artatamente costruiti per porli a fondamento dell’esposto».

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