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Un professore in un'aula universitaria

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3 minuti per la lettura

di PASQUALE GALLINA
Università degli Studi di Firenze

Inchieste giornalistiche e indagini giudiziarie stanno aprendo uno squarcio sulle criticità del reclutamento dei professori universitari in Italia. Tali criticità sono più gravi per Medicina. La letteratura scientifica internazionale non manca spietatamente di ricordarci la datata malpractice dell’Accademia medica italiana (Rigante, Lancet, 2016).

Il Lancet riporta paradigmaticamente (Gallina e Gallo, Lancet, 2020) che su 175 concorsi per professore ordinario e associato “aperti” a candidati interni ed esterni (art. 18 comma 1, Legge Gelmini) svoltosi tra il 2012 e il 2019 presso le Scuole di Medicina toscane, solo in 10 casi la competizione ha visto prevalere un candidato non incardinato nelle Università stesse che hanno bandito o non appartenente alle Aziende ospedaliero-universitarie con esse integrate. La media dei partecipanti ai concorsi è stata di circa 1.5 candidati per competizione.

Si tratta di un numero di concorrenti molto basso rispetto alla vasta platea di studiosi in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale (prerequisito per la docenza) che avrebbero potuto partecipare. Molti abilitati potrebbero essere stati dissuasi da una difformità dei bandi con la declaratoria ministeriale i.e. la descrizione dei contenuti del settore scientifico disciplinare. Non-conformità con la declaratoria indica “profilatura” del bando” (Trasparenza e Merito, 2019).

Questi risultati danno l’idea di un’Università “asfittica”, chiusa in sé stessa, vittima di oligarchie, afflitta (Grilli e Allesina, PNAS, 2017) dalla piaga del nepotismo. Sorprende che le autorità ministeriali si siano disinteressate a dati così autorevoli che hanno messo a nudo mondialmente la fragilità del sistema italiano di reclutamento.

La situazione è peggiorata allorché il potere politico è entrato nel gioco delle cattedre. L’art. 18 comma 4 della Legge Gelmini, pensato per favorire la mobilità accademica, permette il reclutamento di soggetti esterni ad una Università, attraverso l’utilizzo di fondi non ministeriali.

A Medicina, questi concorsi sono spesso finanziati dalle aziende ospedaliero-universitarie, finanziariamente dipendenti dalle Regioni, che così hanno un certo peso sull’esito della procedura. Visto che la Legge non prevede norme che impediscano la partecipazione al concorso di portatori di interesse, l’articolo 18 comma 4 viene spesso utilizzato per gratificare un medico (dipendente dall’Azienda che finanzia) trasformandone la posizione da ospedaliera in universitaria, senza che questo comporti un vantaggio per il sistema, né in termini di risorse, né di competenze.

Spesso ad un professore gradito è anche assicurata con questo metodo la progressione di carriera. Si tratta di un uso inappropriato dello strumento che determina il fallimento dell’obiettivo per cui è stato pensato, cioè favorire la mobilità universitaria. Il Lancet riferisce che su 46 di questi concorsi presso le Università Toscane, solo in 12 casi la competizione è stata vinta da un soggetto davvero esterno.

L’intrusione della politica nelle aule di medicina favorisce la formazione di un corpus di docenti politicamente orientato, con il rischio di condizionamenti sulla cultura medico-scientifica e bioetica del Paese. La consapevolezza dell’opinione pubblica circa queste problematiche è cruciale per supportare gli sforzi di alcuni verso la meritocrazia e l’indipendenza dell’Università.

Il giornalismo di inchiesta di Riccardo Iacona farà emergere impietosamente, lunedì, su Rai 3, nel corso di PresaDiretta, la “malattia” che affligge Università Italiana, con il contributo di molti studiosi che ne hanno denunciato giudiziaramente e pubblicamente l’esistenza.

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