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Vincenzo De Luca

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Se ti ammali in Campania non hai possibilità: o paghi o muori. La nuova delibera (dello scorso 28 dicembre) che stabilisce i tetti di spesa non per branca, ma per struttura (con vincoli di budget da rispettare) fa saltare il banco. Per la regione Campania il Covid non esiste. O meglio, è pura fantasia che le strutture pubbliche siano “affaticate”. È un falso scenario quelle delle liste di attesa, lunghe, lunghissime.

Se andranno in vigore le nuove disposizioni accadrà che se devi fare una Tac, perché temi di avere un cancro, se devi fare una amniocentesi perché pensi che il feto che porti in grembo sia malato e hai sotto casa una struttura convenzionata devi comunque prenotarti al Cup regionale, aspettare che ti chiamino (potrebbero farlo anche in una struttura lontana chilometri da casa tua) e sperare che, mentre arrivi il tuo turno, quella struttura non abbia terminato il budget, che è a questo punto è determinato mese per mese, almeno secondo le nuove regole che vorrebbe imporre il governatore-sceriffo della Campania, Vincenzo De Luca.

LA NUOVA DELIBERA

Una follia burocratica che invece di facilitare, in tempi di emergenza pandemica dove la sanità è paralizzata, complica ulteriormente la vita e la sopravvivenza a chi vive al Sud. Già, perché se abiti a Caserta e hai bisogno di un esame in convenzione e ti prenoti al Cup potrebbe anche darsi che dovrai fare una visita dopo 180 giorni, magari a Salerno. Sull’impegnativa è scritto urgente? Che importa. Il Cup è un imbuto. Le file interminabili.

Ma che cosa è accaduto? In pratica la nuova delibera, la 599 dello scorso dicembre, stabilisce tetti di spesa in strutture convenzionate uguali al 2019, quando non esisteva il Covid. Non solo. Quello stesso tetto 2018/2019, a detta della prefettura, nella persona del commissario ad acta Mario Ambrosanio, è insufficiente al fabbisogno.

Tutto questo non lo dicono le strutture in convenzione, i privati o i sindacati: lo ha messo nero su bianco proprio il prefetto il 24 novembre 2021 (delibera numero 1). Ambrosanio fu nominato commissario ad acta in esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato (sezione III 5293/19) e, per quanto riguarda il fabbisogno assistenziale sanitario nella specialistica ambulatoriale della regione Campania di quegli anni, scrisse: «La scelta che regolamenta i volumi dell’offerta del privato accreditato inserisce di fatto un limite all’accessibilità da parte dei cittadini. In particolare la trimestralizzazione influenza i flussi della domanda di prestazioni che temporaneamente non trovano risposta presso le strutture private accreditate e potrebbero rivolgersi altrove (strutture private non accreditate fuori regione)».

LE BACCHETTATE DEL COMMISSARIO AD ACTA

Pensate che lo stesso commissario ad acta bacchettò la Regione Campania proprio sul tetto fissato nel 2018-2019 affermando che «i dati delle prestazioni ambulatoriali specialistiche erogate negli anni passati non sono adatti a essere utilizzati per la previsione dell’offerta ambulatoriale per gli anni futuri, in quanto non può considerarsi manifestazione completa delle reali necessità dei cittadini, ma rendicontazione di quanto la Regione Campania ha potuto offrire».

Ecco, la Regione invece che cosa fa? A dicembre, pochi giorni prima della fine dell’anno, vara una delibera in cui non solo si fa riferimento al tetto dello storico del 2018- 2019, che a detta dello stesso prefetto era inadeguato, ma dimentica che a oggi, per causa del Covid, non è più possibile fare un ricovero neanche per un intervento di routine, figurarsi per la diagnostica.

Non parliamo di esami di poco conto (anche se nessuno esame lo è), parliamo di esami che possono determinare la salute dei cittadini, come una mammografia, una tac, un esame per un cancro alla prostata, all’utero, al pancreas.

C’è di più: la nuova delibera stabilisce non solo le prenotazioni al Cup, ma anche un tetto per ogni branca e mensile. Che cosa significa? Che se ti metti in fila e prenoti per un esame in una struttura in convenzione ti possono anche rimandare indietro, perché magari in quella stessa giornata si è raggiunto il picco delle prestazioni e non si potrà andare avanti perché altrimenti quegli esami non saranno pagati.

È chiaro che le associazioni di categoria si sono ribellate e hanno deciso non solo di non firmare i contratti imposti per ciascuna struttura dalle Asl, ma di rivolgersi al Tar. Per l’ennesima volta, lo avevano già fatto contestando il tetto del 2018- 2019, perché non era sufficiente per il fabbisogno reale. E vinsero al Consiglio di Stato. In realtà bastava un po’ di buonsenso, meno luoghi comuni e spot. Aumentare il tetto di spesa per tutti, lasciando libere le strutture pubbliche che ormai non erogano neanche una visita specialistica, prese dalla tempesta del Covid.

C’è di più. Nella famigerata delibera si fissa un tetto anche per gli esami fuori regione. Eppure non c’è limite per chi dalla Campania emigra al nord, magari in una struttura in convenzione. E questo non fa altro che aumentare il debito che in sede di compensazione la Campania ha con le altre Regioni. Una follia anche politica ed economica. Mentre qui al sud le eccellenze sono tante e non messe in condizioni di operare.

LIBERTÀ VIOLATA

«Con questa delibera che impugneremo non si tiene conto della sentenza del Consiglio di Stato che stabilisce un principio semplice: prima di fare i tetti bisogna contare il fabbisogno reale. Mancano tra gli 11 e i 13 milioni di prestazioni sulle 9 branche ambulatoriali» dice Pierpaolo Polizzi, presidente dell’Aspat, associazione della sanità privata accreditata.

E non è tutto. La delibera regionale voluta dall’assessore al Bilancio, Ettore Cinque, buttando tutto (privato accreditato e pubblico) nel Cup regionale non solo limita chi non riesce ad avere accesso alla rete (già, perché per prenotarsi bisogna farlo solo online), ma lede la libertà di scelta dei cittadini. Già, proprio così: se sei nato povero e non hai santi in paradiso, puoi anche morire. L’importante è risparmiare, non importa sulla pelle di chi.


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