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POTENZA – Assolto dall’accusa di violenza sessuale per un vizio di procedura: la querela della sua presunta vittima – poi ritirata – è stata presentata oltre i termini di legge. Anche se pm e difesa in aula avevano concordato che «il fatto non sussiste». Prescritte, invece, le molestie telefoniche.
E’ quanto ha stabilito il collegio del Tribunale di Potenza dove ieri si è concluso il processo in primo grado contro don Antonio Meliante, giovane vicario parrocchiale del Santuario della Madonna del Pantano di Pignola.
Alla base della vicenda, stando alla ricostruzione del pm Francesco Diliso, ci sarebbe stata la paura di rappresaglie da parte di Meliante della donna con cui aveva intrapreso una travolgente relazione sentimentale. Niente di più. Solo paura per le espressioni che il sacerdote, una volta “abbandonato”, aveva usato nei suoi confronti per convincerla a tornare sui suoi passi.
«Rispetto la sentenza del Tribunale che è processualmente esatta». Ha dichiarato all’uscita dell’aula il difensore di Meliante, l’avvocato Nicola Roccanova. «Ma a mio parere il collegio avrebbe dovuto affrontare il merito del caso e affermare l’assoluta non responsabilità nel merito di Don Meliante. Si tratta di una vicenda di per sè complicata, resa ancora più difficile dalla personalità della presunta persona offesa».
In aula sono stati ripercorsi tutti i passaggi della relazione tra il sacerdote e la donna, una vicina di casa di quasi dieci anni più giovane, che lui stesso aveva sposato tempo prima.
La loro storia di passione sarebbe durata per più di un anno, da febbraio del 2007 a aprile del 2008: in clandestinità, spesso al riparo della chiesa dove l’uomo amministrava i sacramenti, in un locale di servizio. Ma a volte anche a casa di lei, quando i suoi familiari andavano a dormire tranquilli e fiduciosi, mentre i due amanti segreti restavano a parlare nel soggiorno o in camera da pranzo.
Poi però qualcosa si è rotto e lei si è tirata indietro. Lui non ne ha voluto sapere e ha continuato a cercarla spingendosi a chiamarla ad ore improbabili col rischio che a casa i familiari della donna si insospettissero.
A questo punto la donna si sarebbe decisa a raccontare tutto a una cognata, che senza andare troppo per il sottile ha affrontato il sacerdote “vis à vis” per intimargli di smetterla, altrimenti sarebbero andate dal vescovo e dai carabinieri.
Quando i militari di Pignola hanno sentito questa storia l’hanno presa molto sul serio, e non hanno fatto sconti per Don Antonio. Hanno sentito il racconto della vittima e le testimonianze dei familiari.
L’incubo sarebbe andato avanti per cinque mesi. Il sacerdote chiamava in continuazione sul cellulare a tutte le ore. Lei per farlo smettere si è dovuta inventare una scusa per cambiare scheda e numero personale. Ma lui squillava in piena notte anche sul telefono fisso dell’abitazione dove la donna conviveva con il marito e la suocera. Infine l’accusa di violenza sessuale.
Le indagini sono andate avanti per un anno e mezzo, poi quand’è stato notificato il primo avviso di garanzia per Don Antonio la donna ha deciso che era arrivato il momento di rimettere la querela.

l.amato@luedi.it

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