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Matteo Salvini con Giancarlo Giorgetti

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I PARTITI hanno trasformato il grande parlamento che deve eleggere il successore di Sergio Mattarella in un labirinto da cui non si riesce ad uscire. Tutti attendono che qualcuno porga loro il mitico filo di Arianna che li porti fuori, ma fino al momento in cui scriviamo (martedì 25 gennaio ore 21) non vediamo traccia di qualcosa di simile.

Il problema fondamentale è, come ormai hanno riconosciuto tutti, mettere insieme la soluzione del problema Quirinale con quella del governo e non solo nel caso, che al momento non sembra più molto probabile (ma in politica conta sempre l’ultimo minuto), in cui fosse Draghi stesso a salire al Colle.

Il tema di fondo è che la soluzione trovata a febbraio scorso da Mattarella per risolvere la crisi di impotenza delle forze politiche rimane fortemente legata alla presenza chiave di Draghi, personalità capace di imporsi su una coalizione molto larga, ma anche all’equilibrio da lui trovato nella distribuzione dei ministeri. Intendiamoci: non tutte le scelte sono state meravigliose, non tutto funziona alla perfezione, ma non riusciamo a convincerci che ci siano le condizioni per ridisegnare in un modo migliore la compagine dell’attuale esecutivo.

Anche se ci sono state le smentite di prammatica, le indiscrezioni parlano del fallimento del tentativo di alcuni partiti (Salvini, forse Conte) di negoziare con Draghi l’assetto che avrebbe preso il futuro governo nel caso l’attuale premier fosse diventato il successore di Mattarella. Era chiaramente un negoziato impossibile, perché il futuro capo dello Stato non può certo impegnarsi dando garanzie che non sono nei suoi poteri. È una leggenda che spetterebbe a lui scegliere il suo successore, perché il presidente fa le consultazioni di cui deve tenere conto, accettando quanto gli viene proposto se c’è una almeno relativa certezza che ci sia una maggioranza a sorreggerlo, o interpretando quale direzione ricavarne se la situazione si presenta confusa. Non è in suo potere distribuire i posti dei ministeri: può esercitare qualche veto su certi profili se non corrispondessero agli indirizzi ed impegni presi dal nostro stato, può suggerire qualche nome, ma se non viene accolto non può imporlo.

Per queste ragioni tutti sanno che una volta dimessosi Draghi, perché così deve fare per dettato costituzionale nel caso di una sua elezione al Quirinale, cadrebbe l’intero governo ed i negoziati per costruirne uno nuovo sarebbero più che difficili. Non si dimentichi che ormai siamo entrati in un tunnel elettorale, con le amministrative intorno a maggio e poi le politiche al più tardi nella primavera del prossimo anno. Dunque si tratterebbe di costruire un governo che più che essere la prosecuzione di quello oggi in carica, sarebbe un esecutivo pre-elettorale a tempo: sappiamo bene cosa significhi una prospettiva del genere.

Per queste ragioni mentre scriviamo si è indebolita la prospettiva di inviare Draghi al Colle: certamente anche per varie “antipatie” di capi e capetti politici che non sopportano la superiore qualità del premier, ma soprattutto per il timore dei più responsabili di cacciarsi in una trappola che potrebbe portarli ad uno scioglimento precoce e traumatico della legislatura, perché cos’altro resterebbe da fare al nuovo presidente della repubblica se non sciogliere le Camere di fronte ad una ingestibilità degli equilibri parlamentari? Dunque il tema torna ad essere quello di individuare una candidatura per il Quirinale che possa lasciare in vita l’attuale governo e anzi possa continuare a fargli da scudo come è avvenuto con Mattarella. L’esigenza di evitare assolutamente una figura “di parte” deriva proprio dalla debolezza del quadro politico attuale.

Se esso avesse una sua stabilità, non si temerebbe che dal Colle si potessero ridisegnare gli equilibri. Ma poiché già adesso quell’equilibrio non esiste e soprattutto è più che oscuro quello che emergerà dal voto quando saranno state chiuse le urne, è più che comprensibile che i gruppi dirigenti dei partiti si arrovellino su come garantirsi un Capo dello Stato che non solo non sia portato a privilegiare una parte contro le altre, ma anche che sia alieno da tendenze per così dire “creative” quando si misurerà con le crisi future (ci sono esperienze non felici in casi simili …).

La scarsità di soluzioni disponibili è un fattore da non trascurare. Se ci fossero alcune persone che danno se non le garanzie, le aspettative di agire con l’unione di competenza, esperienza, e saggezza di fronte ai difficili passaggi che aspettano questo paese (per la pandemia, per i problemi dell’economia, per le situazioni di tensione internazionale, per le tensioni sociali esistenti), sarebbe possibile costruire un consenso trasversale. Tutti sanno che l’opinione pubblica è poco disponibile a star a guardare i giochetti tattici dei politici, ma tutti temono di cadere nella trappola di soluzioni insoddisfacenti da vari punti di vista. Adesso è impossibile prevedere come andrà a finire, o almeno noi non siamo in grado di farlo.

Temiamo che comunque vada non avremo una soluzione che sia conclusiva dei nostri problemi di equilibrio e stabilità: bisognerà che ci si lavori ancora e con la dovuta pazienza nel prosieguo della nostra vita istituzionale.


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